Evo Diet, la dieta evolutiva

Le ricerche e le esperienze che ho avuto la possibilità di iniziare oltre dieci anni fa [1] sono confluite in un sistema alimentare che ho definito Dieta Evolutiva. La Dieta Evolutiva o Evo Diet si rifà all’alimentazione con la quale i nostri progenitori si sono evoluti nel corso di due milioni e mezzo di anni.

Si tratta di un sistema nutrizionale totalmente sintonico con le necessità dell’organismo della specie homo come confermano le ricerche più attuali.

Negli ultimi dieci anni, la crescente consapevolezza dei problemi provocati dall’eccessivo consumo di zuccheri e l’incontenibile, epidemico sviluppo delle malattie metaboliche ha reso popolari alcune diete basate sulla restrizione dei carboidrati, riprendendo in pratica il lavoro che come si è visto in precedenza [2] era già stato proposto da W. Harvey oltre un secolo fa. A parte le diete più o meno folkloristiche, il problema carboidrati è stato affrontato seriamente da diverse angolazioni con risposte che vanno dalla loro totale eliminazione (dieta Atkins) alla definizione di quote limitate e organizzate in blocchi (dieta Zona). Nessuna di queste proposte – ad eccezione della dieta Metabolica del Dott. Mauro Di Pasquale – ha però affrontato il cardine della nutrizione, la obbligatoria intermittenza o ciclicità. Persino il tentativo più serio, documentato ed equilibrato, la Paleo-dieta del Prof. Lorain Cordain[3] pioniere geniale degli studi sulla nutrizione evolutiva, non affronta la struttura alimentare nel lungo periodo. La nostra ricerca propone sei concetti basilari che dovrebbero orientare la nutrizione più idonea all’essere umano:

    1. la dieta deve essere ciclica e intermittente, variare cioè sia come quantità di energia introdotta che come nutrienti in relazione alle diverse situazioni che la persona si trova ad affrontare perché così è stato fin dalla notte dei tempi e su questa alternanza si è sviluppato il nostro metabolismo. Le conseguenze disastrose della cronicità e inadeguatezza alimentare riempiono un libro, Il Paradiso Ritrovato di prossima pubblicazione. E’ il cronico ed elevato apporto di zuccheri a consentire la piena attuazione della reazione del Maillard e di conseguenza la formazione dei suoi composti irreversibili, gli AGEs, che per realizzarsi richiedono addirittura settimane se non mesi di cronica iperglicemia. Inoltre per prova provata il lavoro fisico intenso così come quello intellettuale molto impegnativo esigono livelli elevati di testosterone garantiti solo da un apporto modesto di proteine che viceversa servono in grande quantità nel momento del recupero e della rigenerazione. La stessa – supposta ma non provata – pericolosità della carne (ferro eme, funzione renale, ipercortisolemia[4]) viene a cadere se l’introduzione è intermittente. I grassi saturi delle uova sono indispensabili nelle fasi di intensa attività e i polinsaturi del pesce, dei bovini da pascolo e dell’olio d’oliva lo sono nei momenti di accumulo delle riserve glicidiche e aminoacidiche. L’abbondanza di fibre rende indisponibile il testosterone ma è fondamentale quando si mangia molta carne. Anche nei riguardi della dieta caloricamente ristretta – che come è stato indubbiamente dimostrato favorisce un prolungamento della vita, ma al tempo stesso presenta non pochi inconvenienti in primo luogo il rallentamento del metabolismo, la riduzione della libido e la sarcopenia – le ricerche più recenti evidenziano una immutata efficacia se si rende tale riduzione non più cronica ma intermittente.[5]
    2. cereali e legumi devono essere completamente eliminati per i motivi che sono approfonditamente spiegati nel volume cui si accennava. L’obiezione che piccole quantità di questi cibi potrebbero comunque essere tollerate cade se si considera che: a)resta comunque alterato il senso fame – sazietà, b) si creano comunque problemi all’apparato digerente dalla carie all’esofagite e giù, giù fino alle emorroidi, c) portano sempre e comunque il loro carico di glutine (insulto ai villi intestinali, celiachia, diabete giovanile), d) creano dipendenza da esorfine. Dal momento che questi cibi non solo non ci servono, ma anzi sono dannosi, perché mantenerli?
    3. razionalmente articolata nel corso della giornata in relazione ai picchi ormonali, più grassi e zuccheri al mattino per il testosterone, più zuccheri a metà giornata con lo zenit insulinico, più proteine alla sera per il GH notturno. Questi ritmi ormonali non sono casuali e costituiscono il risultato di attività e nutrizione ancestrali.
    4. ricca di proteine animali da fonti magre indispensabile apporto di amino acidi e grassi essenziali per il nostro patrimonio strutturale e per il sistema immunitario. La carne ci è indispensabile anche per la sua ricchezza di sali, vitamine, enzimi che sono irrinunciabili per l’organismo del sapiens (ferro eme, zinco, vitamina B12, ecc..)
    5. moderata di carboidrati e grassi come lo è stata per milioni anni. Per gli zuccheri l’attenzione non deve porsi sulla loro tipologia e sull’indice glicemico bensì sulla loro quantità, il carico glicemico che nel caso superi limiti precisi e modesti, il nostro organismo non è in grado di gestire. Non importa in quanto tempo gli zuccheri passano nel sangue, 10 secondi oppure 3 ore, importa quanti ne arrivano tutti insieme e quanti l’organismo riesce a utilizzare correttamente senza che si instauri iperglicemia e resistenza all’insulina. Una particolare tipologia di zucchero richiede poi particolare attenzione, ed è il fruttosio che si è visto creare molti più danni metabolici del glucosio stesso.
    6. costituita da tutti quegli alimenti che si possono consumare crudi, gli unici idonei al nostro metabolismo, comunque da cucinare con estrema semplicità.

Calorie, macro e micronutrienti

Per oltre cento anni il bilancio energetico è stata la pietra miliare della scienza alimentare e della biologia. Il rapporto energia spesa – energia introdotta è fondamentale e anche noi lo abbiamo più volte sottolineato. Ma il peccato originale del quale oggi siamo sempre più consapevoli è che non possiamo limitarci a valutare la quantità del cibo introdotto, ma si deve focalizzare l’attenzione sulla sua qualità[6], sui macro e micronutrienti[7],[8],[9] e sulla loro azione biologica.[10] Il metabolismo è vita, mentre la caloria è solo l’aumento di un grado centigrado di un litro d’acqua in un contenitore di vetro e ferro. La nostra dieta evolutiva è così ricca di aminoacidi, grassi essenziali, vitamine e minerali da superare ampiamente anche con apporto calorico minimo il fabbisogno giornaliero raccomandato dai LARN e rendere superfluo ogni genere di integrazione extra alimentare.

Il cibo più idoneo

Sicuramente oggi non è facile alimentarsi in modo sano e naturale. Il cibo viene prodotto con criteri industriali, è stato selezionato e modificato dall’agricoltura per essere più carico di energia, soprattutto di zuccheri, si sono accelerati i tempi della raccolta, si è sfruttata allo spasimo la produttività dei terreni, tutto questo ben oltre i limiti naturali e la sostenibilità dell’ambiente. L’uso di diserbanti e pesticidi è abitudine universale da centinaia di anni. Gli animali da macello sono alimentati intensivamente con cibo che non è adatto alla loro biologia ma che fa aumentare il peso più velocemente. L’urbanizzazione ha richiesto cibo conservato perché trasportato da luoghi di produzione spesso molto distanti, di basso costo, di facile preparazione ed estremamente appetibile. Il glutine è stato aggiunto a moltissimi alimenti per renderli più masticabili e gustosi. Vengono proposti cibi precotti, merendine e snack che sono bombe caloriche prive di nutrienti, sature di grassi, zuccheri, coloranti e conservanti, in una parola cibo – spazzatura. Di conseguenza il primo passaggio razionale che dobbiamo fare per selezionare il cibo idoneo alla nostra specie e alla nostra salute è tornare ad essere animali. Per due milioni di anni almeno (l’utilizzo del fuoco risale a circa 500.000 anni fa) l’uomo si è comportato come qualsiasi altro animale, ha raccolto cibo dall’ambiente e lo ha consumato così com’era, crudo, senza peraltro disdegnare i resti delle carcasse lasciati dai grandi felini più attrezzati di noi per la predazione. Per nutrirsi correttamente basta allora chiedersi cosa possiamo mangiare, digerire e assimilare che sia raccolto così come si trova in natura e consumato senza interventi tecnologici. Si scopre allora che tutti gli alimenti che possiamo consumare crudi sono anche i più facili e leggeri da digerire e sono soprattutto i più ricchi di quei nutrienti che per noi umani risultano essere essenziali. La regola è questa: se un alimento non è digeribile da crudo non è idoneo all’uomo. Ed è una regola che non ammette deroghe. Senza arrivare all’integralismo dei “crudisti” selezioniamo il cibo che troviamo in natura e che volendo possiamo consumare crudo, senza che debba subire processi tecnologici per divenire commestibile:

    • la carne lo è, frollata ovviamente, dato che ci mancano le zanne per la carne fresca e viva – deve essere magra, preferibilmente carne di ruminante, la nostra preda abituale per due milioni di anni – ma anche volatili, pesce, crostacei, molluschi sono eccellenti. Sono tutti alimenti che effettivamente tuttora talvolta consumiamo crudi (sushi, tartara, carpaccio, ecc…). Si deve prendere peraltro in considerazione anche l’agguerrito dibattito che si sta svolgendo sulla sostenibilità ambientale della produzione intensiva di carne da macello, argomento che avremo modo di approfondire più avanti. Va comunque detto che questi animali, allevati in luoghi ristretti, a ritmi innaturali contribuiscono all’inquinamento ambientale, consumano risorse alimentari che potrebbero essere diversamente impiegate e che comunque per essere prodotte snaturano l’ambiente. Le loro carni, frutto di alimentazione non idonea divengono cibo altrettanto poco idoneo per l’uomo. Ad esempio i bovini provenienti da allevamenti intensivi nutriti con farine di cereali hanno carni con una quantità molto scarsa di grassi omega 3 e molto ricca invece di omega 6 rispetto agli stessi animali che si nutrono – secondo natura, essendo erbivori[11],[12] – con l’erba dei pascoli. La soluzione possibile, perfettamente sostenibile anche a livello ambientale potrebbe essere l’allevamento dei ruminanti al pascolo e le piccole coltivazioni di ortaggi locali, sempreché l’economia globalizzata se ne faccia una ragione. Da evitare poi le carni conservate in vario modo, che per i trattamenti subiti possono divenire provatamente cancerogene, così come potrebberlo essere le carni malamente cucinate alla griglia
    • le uova intere (consumarne solo l’albume è sacrilegio nutrizionale senza alcuna razionalità)
    • il latte materno fondamentale e insostituibile per i neonati
    • le bacche, i fiori e le foglie
    • i semi, i funghi, i tuberi e le radici
    • il miele
    • l’alcol derivato dalla frutta fermentata naturalmente.

Altri alimenti che pure sono assimilabili senza subire trattamenti sono stati introdotti in tempi recenti dall’agricoltura e presentano alcuni inconvenienti per la nutrizione umana:

    • il latte vaccino o di altri animali addomesticati ben diverso dal latte materno. L’adulto non necessita di questo alimento come dimostra la generale intolleranza al lattosio. Il latte contiene inoltre caseomorfine, simili all’esorfine dei cereali che danno dipendenza e un rapporto calcio – magnesio fortemente sbilanciato
    • lo yogurt, cioè il latte fermentato in modo naturale che almeno non presenta l’inconveniente del lattosio
    • la frutta che non è la bacca ma la sua lontana pronipote. I nostri antecessori non mangiavano frutta semplicemente perché a quei tempi non esisteva. L’agricoltura ha coltivato e modificato le bacche per renderle sempre più ricche di zuccheri, trasformando un alimento per tanti versi salutare in un cibo da consumare con moderazione.
    • il vino e la birra che derivano rispettivamente dalla fermentazione dell’uva e dei cereali. Nel secondo caso la presenza del glutine rende la bevanda aggressiva nei confronti dei villi intestinali (la birra fa gonfiare la pancia…) e perciò sconsigliabile.

Non sono invece assimilabili, oppure lo sono ma con grande difficoltà e solo se preparati con tecnologie alimentari:

    • i cereali che richiedono macinatura, cottura e tre ore di lenta, faticosa digestione
    • i legumi, oltretutto tossici se mangiati crudi
    • dovrebbero comunque essere eliminati: formaggi di ogni tipo, salumi, dolci, salse, sughi, metodi di cottura e preparazioni elaborate, il sale da cucina o cloruro di sodio, che altera la bilancia col calcio, il senso dell’appetito in maniera non fisiologica, la pressione del sangue. In pratica tutto quello cui ci ha abituato la cultura agricola – che peraltro troviamo particolarmente gustoso e gradevole – ma che fa del nostro cibo autentica immondizia.

LINEE GUIDA DELLA DIETA EVOLUTIVA

1. Ciclica e intermittente

2. Priva di cereali e legumi

3. Armonizzata con i picchi ormonali

4. Ricca di proteine animali da fonti magre

5. Moderata di carboidrati e grassi

6. Costituita da cibi che si possono consumare anche crudi, cucinati con estrema semplicità.

RIEDUCARE IL GUSTO
Il senso del gusto è fondamentale per la nutrizione, identifica i cibi idonei e non, guida le necessità nutrizionali, fa evitare i cibi potenzialmete tossici. La spazzatura alimentare che consumiamo per abitudine millenaria lo ha profondamente alterato, portandoci ad ingerire ogni porcheria. Eliminando il sale e i condimenti, mangiando crudo oppure cucinato con estrema semplicità si rieduca il gusto ai sapori fondamentali della nutrizione.

IL CRUDISMO
Questa filosofia alimentare nasce dal presupposto, peraltro corretto, che l’animale – uomo si è evoluto mangiando cibi crudi raccolti dall’ambiente e solo mezzo milione di anni fa ha iniziato a cuocerli. Il calore modifica e denatura i nutrienti degli alimenti e la parte divenuta indigeribile intossica l’organismo. Da qui il rifiuto totale del cibo cucinato. I crudisti – che sono vegani – quindi rifiutano il cibo di provenienza animale anche il latte e le uova, si nutrono esclusivamente di frutta, verdura, semi e radici andando ovviamente incontro a non pochi squilibri nutrizionali.

LA BACCA
E’ un frutto carnoso nel quale l’intera parete dell’ovario una volta matura diviene commestibile. I semi si trovano nella polpa. E’ solitamente molto colorata e di sapore gradevole per attirare gli animali, i quali ingerendo il frutto ne disperdono poi i semi con gli escrementi, facilitando così la riproduzione della pianta. La frutta attuale è il risultato dell’addomesticamento delle bacche portate a dimensioni e contenuto zuccherino abnorme. In botanica sono bacche il pomodoro, la melanzana, l’uva, gli agrumi e le cucurbitacee, cetrioli e meloni, insieme ai frutti del peperone e all’avocado.

BENEFICI DELLA DIETA EVOLUTIVA

IMMEDIATI: resetting del sistema fame – sazietà sulle reali necessità dell’organismo, non ci sono limiti all’introduzione calorica, si mangia a sazietà senza soffrire la fame, si eliminano le diete tradizionali, non gonfia la pancia dopo il pasto, la digestione è rapida e leggera, sono eliminate sonnolenza e spossatezza post-prandiali, i livelli di energia rimangono elevati e costanti durante tutta la giornata.
NEL TEMPO: dimagrimento lento e graduale fino ai livelli fisiologici, aumento della massa muscolare, eliminate cellulite e ritenzione idrica, prevenzione oppure – nel caso fossero già insorte – regressione e controllo delle malattie metaboliche senza utilizzo di farmaci. Questo se non si sono raggiunti livelli troppo avanzati e non ci sono più gravi compromissioni dello stato di salute.

LE REGOLE

    • A SAZIETA’ SECONDO APPETITO: carni di ogni tipo, pesce, molluschi, crostacei, uova intere, verdura, bacche, semi, tuberi, radici.
    • DI RADO CON MODERAZIONE: latte vaccino o di altri animali preferibilmente intero, yogurt intero, frutta, vino, grappa e cognac, olio d’oliva.
    • PREFERIBILMENTE MAI: cereali, legumi, latticini e formaggi, salumi, insaccati, alimenti conservati di varia natura, birra, vodka e whisky, cibi preconfezionati, snack, succhi di frutta, sale da cucina, salse, sughi, spezie e condimenti varii.

Giovanni Cianti [1] G. Cianti CATTIVO COME IL PANE Cultura Fisica, 1998

 

[1] G. Cianti CATTIVO COME IL PANE Cultura Fisica, 1998

[2] G. Cianti BASTA UN POCO DI STRETCHING PER L’ENORMITA’? Cultura Fisica, Maggio/Giugno 2009

[3] L.Cordain THE PALEO DIET (2002) Jhon Wiley & Sons, Inc New York

[4] G. Cianti CARNE, PROTEINE, MITI E CERTEZZE Olympian’s, Marzo 2009

[5] J. Hopkins University, Maryland

[6] G.Cianti C’ERA UNA VOLTA LA CALORIA Cultura Fisica 1996

[7] J.W.Krieger et al EFFECTS OF VARIATION IN PROTEIN AND CARBOHYDRATE INTAKE ON BODY MASS AND COMPOSITION DURING ENERGY RESTRICTION: A META-REGRESSION Am J of Clin Nutrition 83: 260-274, 2006

[8] C.M.Young et al EFFECT OF BODY COMPOSITION AND OTHER PARAMETERS IN OBESE YOUNG MEN OF CARBOHYDRATE LEVEL OF REDUCTION DIET Am J of Clin Nutrit 24: 290-296, 1971

[9] M.Bluher et al ADIPOSE TISSUE SELECTIVE INSULIN RECEPTOR KNOCKOUT PROTECTS AGAINST OBESITY AND OBESITY-RELATED GLUCOSE INTOLERANCE Dev. Cell 3:25-38, 2002

[10] A.H.Manninen METABOLIC ADVANTAGE OF LOW-CARBOHYDRATE DIETS: A CALORIE IS STILL NOT A CALORIE Am J of clin Nutrition 83, (6): 1442-1443 June 2006

[11] www.mercola.com WHY GRASSFED ANIMAL PRODUCTS ARE BETTER FOR YOU, 2007

[12]www.naturalhub.com WHAT IS THE HEALTHIES DIET FOR THE HUMAN ANIMAL?, 2008

L’ipotesi integrale

I cereali integrali: tra realtà e marketing

Molti si chiedono come sia a tutt’oggi compatibile, vista l’indiscutibile pericolosità dei cereali e il loro strettissimo legame con le malattie della Sindrome Metabolica, la sempre più forte raccomandazione a consumare cereali integrali – dipinti come apportatori di benessere e salute – in particolare perché ricchi di fibre.

Abbiamo valutato con attenzione queste affermazioni. Una moltitudine di studi anche recentissimi parrebbe dimostrare i benefici asseriti ma a ben guardare si ha la dimostrazione di risultati poco tangibili e deludenti. Si ha altresì la sensazione che la ricerca si sia piegata al marketing delle multinazionali del grano e delle merendine preconfezionate, verosimilmente preoccupate di contrastare l’evidenza sempre più forte che lega i cereali alle malattie metaboliche dilaganti. Abbiamo ricercato e analizzato decine di studi pubblicati su giornali autorevoli e accreditati a livello mondiale senza trovare riscontri significativi. Nessuno di questi lavori è risolutivo, tutti mostrano benefici minimali o per loro stessa ammissione inconsistenti, mentre si spalleggiano l’un l’altro con referenze reciproche altrettanto incerte e fumose.

Le fibre alimentari
Le fibre sono parte integrante dei cibi vegetali, dei quali costituiscono le pareti cellulari. Si tratta in pratica di carboidrati a catena lunga non assimilabili dal nostro sistema digestivo. Alcune di esse – ma non tutte – possono essere digerite dai batteri presenti nell’intestino tenue provocando però gonfiore e flautolenza. Anche se sono considerate non nutrienti, le fibre hanno notevole influenza sul metabolismo e sul funzionamento del nostro apparato digestivo. Fonti alimentari diverse danno alle fibre caratteristiche e proprietà diverse. Si distinguono fibre solubili che si dissolvono in acqua e divengono gelatina che rallenta l’assorbimento dei nutrienti e fibre non solubili che aggiungono massa alle feci e accelerano il transito intestinale del cibo.

Principali fonti di fibre alimentari
Le fibre solubili si trovano nella polpa della frutta, particolarmente di arance, mele e banane, nell’avena, nelle verdure e nei legumi. Cereali integrali, mais, cavolfiore, patate, fagiolini verdi, sono ricchi di fibre insolubili così come la buccia della frutta. La frutta è particolarmente ricca di pectina mentre i legumi lo sono di cellulosa e i cereali di emicellulosa[1]. La quantità giornaliera raccomandata di fibre è per l’adulto intorno ai 20 – 35 grammi. Una eccessiva ingestione di fibre può provocare gonfiore intestinale, diarrea e aggravare la sindrome del colon irritabile. Viene altresì ridotto l’assorbimento di proteine, vitamine e sali minerali particolarmente se le fibre derivano dai cereali.

Primi studi ed evidenze
L’interesse e lo studio sulle fibre, o meglio la loro riscoperta, è relativamente recente. Solo a partire dagli anni 70 infatti si è posta l’attenzione sul legame tra malattie croniche e fibre alimentari[2]. Si è iniziato così ad analizzare il contenuto in fibra dei vari alimenti sviluppando metodi di estrazione[3]. Al tempo stesso si sono realizzati i primi studi sul loro ruolo protettivo e benefico[4] e se ne è raccomandata una maggiore assunzione per la supposta capacità di ridurre il colesterolo, i rischi di malattie cardiovascolari, l’ipertensione e per un migliore controllo della glicemia[5].

I cereali integrali
Fino dal loro primo apparire nella nutrizione umana, 10 – 12.000 anni fa, i cereali sono stati consumati integralmente. Solo con l’avvento dell’Industrializzazione, non più di 200 anni fa – nel probabile tentativo di eliminare quegli antinutrienti che si era visto provocare malnutrizione, rachitismo e disturbi della crescita – si è cominciato a separare l’endosperma dalla fibra[6]. Questo processo, chiamato raffinazione ha evidentemente cambiato la qualità delle farine, portando oggi all’evidenza di ulteriori e forse più drammatiche malattie. Come si sa il seme è costituito dall’embrione, dall’endosperma e dalla fibra che lo riveste. Vitamine, minerali ma anche antinutrienti sono contenuti principalmente nella fibra, mentre l’endosperma contiene quasi esclusivamente amidi e un poco di proteine di scarso valore biologico.

Differenze nella composizione di cereali integrali e raffinati
Anche se la struttura dei cereali è analoga, la percentuale di fibra varia da una pianta all’altra, dal 6% del granturco fino al 16% del grano. Quando insieme al germe viene eliminata la fibra si ritiene vengano sottratte sostanze benefiche per la salute, tra le quali carboidrati fermentabili, antiossidanti, lignani, fitoestrogeni e altri ancora. I principali composti e i relativi meccanismi protettivi elencati a seguire[7], sono il risultato di studi che spesso i loro stessi autori definiscono scarsamente significativi o casuali.

Carboidrati fermentabili
Sono le fibre, gli amidi resistenti, e gli oligosaccaridi. Questi carboidrati sono fermentati nel colon dalla flora intestinale che li trasforma in acidi grassi a catena breve e gas. Questa trasformazione sembra correlata alla riduzione di colesterolo nel sangue e a un minore rischio di tumori. Le fibre solubili sono messe in relazione con una migliore risposta all’insulina mentre quelle non solubili consentirebbero una evacuazione più rapida con minore probabilità per gli agenti mutageni di sviluppare tumori. Le fibre solubili sono messe in relazione con una migliore risposta all’insulina mentre quelle non solubili consentirebbero una evacuazione più rapida con minore probabilità per gli agenti mutageni di sviluppare tumori. Il consumo di cereali integrali inoltre rallenta la digestione e l’assimilazione degli amidi abbassando così la concentrazione del glucosio nel sangue e la produzione di insulina attraverso tre meccanismi, 1) l’aumento della viscosità dell’intestino tenue, che riduce l’assorbimento degli zuccheri 2) la formazione di legami col glucosio che lo rendono indisponibile 3) la capsularizzazione degli amidi che ritarda l’azione delle amilasi[8]. Gli oligosaccaridi, inulina e oligofruttosio avrebbero sull’intestino un effetto analogo a quello delle fibre e in più aumenterebbero la presenza di bifidobatteri riducendo così le concentrazioni di escherichia coli, clostridia e varii batterioidi.

I grassi
Sono presenti nel germe del grano in piccole quantità soprattutto sotto forma di acido oleico e linoleico. Altri grassi sono i tocotrienoli, gli steroidi vegetali e l’orizanolo che potrebbero contribuire alla diminuizione del colesterolo nel sangue.

Antiossidanti
Si tratta di vitamine, minerali a alcuni antinutrienti, tra i quali l’acido ferulico e l’acido fitico. La vitamina E inibirebbe la formazione di nitrosamine, ma non esistono studi decisivi in proposito.

Lignani e fito estrogeni
Potrebbero proteggere da alcune malattie di origine ormonale e, avendo una struttura simile a quella degli estrogeni, svolgere un’azione endocrina analoga.

Antinutrienti
Inibitori proteasici e amilasici, acido fitico, emoagglutinina, composti fenolici, tannini potrebbere ridurre il rischio di tumori del colon e della mammella e ridurre il livello di glucosio, insulina e colesterolo nel sangue. Altri probabili meccanismi protettivi riconducibili ai cereali integrali bloccherebbero i danni del DNA cellulare e avrebbero effetti protettivi sui problemi coronarici e vascolari[9].

L’inconsistenza delle prove
Molto si può dire sull’autorevolezza degli studi che esaltano i benefici dei cereali integrali. Anche a livello scientifico ufficiale i dubbi non mancano. In un recente editoriale, Vasanti S. Malik e Frank B. Hu del Department of Nutrition della Harvard School of Public Health, MA[10], facendo riferimento ai numerosi studi e ricerche incentrati sull’argomento, hanno dovuto riconoscere che si tratta ancora di una sfida che l’epidemiologia deve affrontare e che le attuali, scarse evidenze derivano comunque da motivi complessi e multifattoriali.

Solo le fibre dei cereali sono quelle giuste?
Già dalle prime ricerche si evidenzia che i benefici per la salute sarebbero semmai da accreditare alle fibre in generale. Spiller, 1981[11]indicava i benefici della cellulosa contenuta nelle verdure nei riguardi delle malattie del colon retto e la protezione nelle diverticoliti, nella colite ulcerosa e nel morbo di Crohn. In quegli stessi anni Chen sottolinea[12]che la pectina della frutta e la gomma di guar hanno effetti superiori ai cereali integrali nella riduzione del colesterolo. Nel 1994, Anderson[13] esalta i benefici delle fibre presenti nelle verdure, frutta e cereali senza distinzione. Successivamente lo stesso punto di vista viene espresso riguardo al rischio di infarto evidenziando la modesta riduzione dello 0,59% senza distinzione tra tipo di fibra introdotta[14]. Infine Hsu dimostra[15] una sia pur modesta riduzione del colesterolo con fibre di carota.

La riduzione del colesterolo
Nel 1981, ancora Chen evidenzia a questo proposito la superiorità della pectina e delle fibre solubili, che peraltro sono scarsamente presenti nei cereali. La riduzione del colesterolo è comunque modesta, quasi insignificante in relazione allo stesso effetto sortito dalle terapie a base di statine. Marlett, 1994[16] evidenzia un decremento dello 0,01% dei livelli senza che vi siano modificazioni del pool degli acidi biliari. Più recentemente[17] si è riscontrata l’efficacia del beta-glucano dell’avena nella riduzione del colesterolo sia totale che LDL pari allo 0,3%. La percentuale è ritenuta modesta dagli stessi ricercatori. Oltretutto il beta-glucano è una fibra solubile presente anche nella frutta e nella verdura.

Sensibiltà all’insulina
Lo studio di Liese[18] dimostra un aumento della sensibilità all’insulina (frutto di alimentazione ricca di cereali integrali) pari allo 0,082% e nessuna variazione dell’insulina a digiuno. Il risultato, a detta degli stessi ricercatori scarsamente significativo, viene successivamente contraddetto da Andersson[19] che sottolinea come i cereali integrali non siano in grado di migliorare questo fondamentale parametro così come sono inefficaci nel ridurre la perossidazione dei grassi, la proteina C-reattiva, la pressione del sangue e la concentrazione dei grassi ematici.

Diabete, obesità, sindrome metabolica e arteriosclerosi
Nei riguardi dell’incidenza sul diabete adulto, dieci anni di osservazione[20], portano alla conclusione di un rischio ridotto dello 0,58%, apparentemente dovuto alle fibre dei cereali e non a quelle di frutta e verdura. Risultato comunque ovvio dato che tra cereali integrali e raffinati c’è una evidente differenza in quanto a carico glicemico e capacità di assorbimento degli zuccheri: il passaggio da un tipo all’altro di cereale fa ovviamente una, sia pur minima, differenza. Nel 2005, Bazzano pubblica i risultati di uno studio condotto per oltre 10 anni su 17.881 soggetti[21] in merito a obesità e consuetudine di fare la prima colazione. Chi fa colazione con i cereali integrali ha il 22% di probabilità in meno di ingrassare. Ma nello studio si chiarisce che chi ha questa abitudine fa anche più esercizio fisico ed è già magro, è meno propenso a bere e fumare, usa integratori alimentari. Come dire che lo stile di vita, non i cereali integrali, fa la differenza nella prevenzione dell’obesità. Lo conferma un’altra ricerca[22] che evidenzia una riduzione di rischio nei confronti della Sindrome Metabolica (0,005%) e della mortalità (0,04%) praticamente inesistente se direttamente correlate alla introduzione di cereali integrali, indipendentemente dallo stile di vita e da altri fattori alimentari. Si tratta di differenze lievissime in relazione al gruppo che usa cereali raffinati. Nel quartile di maggiore consumo integrale si verifica quanto segue:

In uno studio del 2007 effettuato su 1178 partecipanti, l’arteriosclerosi delle carotidi e la sua progressione in relazione al consumo di fibre da cereali integrali hanno mostrato rispettivamente un inconsistente meno 0.049 nel rischio di malattia e nessun miglioramento riguardo alla sua progressione. Secondo gli autori si tratta di una relazione scarsa e non significativa. Tuttavia, stranamente concludono, che l’introduzione di cereali integrali è inversamente associata alla arteriosclerosi della carotide[23].

Cancro
Secondo l’Harvard School of Public Health[24] le fibre hanno scarso o nessun effetto sul rischio di cancro. La loro prescrizione basata su studi limitati è stata smentita da ricerche più approfondite tra le quali una in particolare, effettuata su 80.000 infermiere e protratta per 16 anni[25]. Più di recente Schatzkin[26] a seguito dell’osservazione di 197.623 donne tra i 50 e i 71 anni seguite per 5 anni complessivi, conclude che le fibre non hanno relazione col rischio di tumori al colon e semmai l’uso di cereali integrali potrebbe attenuare modestamente tale rischio.

Piorrea
Più consistente e credibile appare lo studio di Merchant[27] (12 anni su 51.529 soggetti) che evidenzia una riduzione della malattia pari al 23%. E’ evidente che i cereali integrali grazie alle fibre lasciano meno residui di amido nelle cavità interdentali e di conseguenza meno AGEs, stress ossidativo e citochine. Comunque si evidenzia ancora una volta come i soggetti beneficiati fossero fisicamente più attivi, meno propensi a fumare e più magri rispetto alla categoria a rischio. Inoltre consumavano più frutta, verdura e noci.

In conclusione
Le fibre alimentari sono indubbiamente essenziali per la nostra salute. La loro presenza consente un più veloce transito del cibo attraverso il sistema digerente e un assorbimento ritardato degli zuccheri con molti e verificati benefici. Questo si realizza indipendentemente dalla fonte nella quale sono contenute. Però le fibre dei cereali per la loro stessa natura a fronte di benefici specifici minimali o inesistenti possono provocano gravi problemi.

Anche se non si vuole escludere il consumo di cereali resta difficile dire se l’opzione integrale sia la migliore. Tuttavia i rischi che ad essi correlati sono troppi e troppo gravi per renderne ragionevole la scelta. E’ preferibile eliminarli completamente, (assieme ai legumi che presentano problemi analoghi) e attingere le fibre necessarie dalla frutta e soprattutto dalla verdura. Certamente è singolare come ci siamo abituati a considerare normale la digestione lenta e laboriosa, la spossatezza post pranzo, i cali della glicemia, la pancia gonfia e come viceversa non ci si renda conto delle sensazioni di benessere che l’alimentazione priva di cereali e legumi ma ricca di proteine e verdure ci può dare. Appetito fisiologico, digestione breve e leggera, energia elevata e stabile, addome piatto e rilassato dovrebbero rappresentare la normalità, ma certamente pochi l’hanno provata e di conseguenza pochi sono in grado di apprezzarla.

Giovanni Cianti

 

1 Fiber HARVARD SCHOOL OF PUBLIC HEALTH (2007) www.hsph.harvard.edu

2 D.Burkitt, H.Trowell REFINED CARBOHYDRATE FOODS AND DISEASE: SOME IMPLICATIONS OF DIETARY FIBER (1975) Academic Press, London UK

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24 Harvard School of Public Health FIBER (2007) www.hsph.harvard.edu/
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Che cos’è la fame nervosa e perché ci prende?

Le cause possono essere di natura biologica e/o psicologica

Cause biologiche
“Mangiare” pur non avendo fame è un’alterazione del meccanismo di controllo da parte dell’ipotalamo.

Ci sono delle sentinelle nel cervello che avvertono il corpo quando il livello di zuccheri è troppo basso (diminuzione della glicemia – ipoglicemia) e inducono come risposta il bisogno di cibo e le azioni per procurarselo. Forse alla base dell’obesità, dei disturbi alimentari in generale e in particolare della fame nervosa c’è proprio un mal funzionamento di questi meccanismi.

Cause psicologiche
“Mangiare” pur non avendo fame, essere assaliti da un impulso irrefrenabile, da un atto compulsivo, presi da un raptus e ingozzarsi di qualsiasi cosa, per poi sentirsi in colpa subito dopo.

Si può avere la fame nervosa per noia, se ad esempio non sappiamo cosa fare, per ansia, per tristezza, scarsa autostima, solitudine.
La fame nervosa ci porta a sostituire l’affetto, la sicurezza o la gioia che non abbiamo con il cibo.
Pensiamo e riflettiamo alle prime fasi di vita, quando la madre offre la poppata al bimbo che piange, anche se la fame non è il vero motivo del pianto, creando nel bambino confusione tra lo stato di fame e lo stato di richiesta di affetto. Combattere la fame nervosa

Prima fase:

Eliminare le cause.

Capire perché si è tristi, cosa provoca in noi una certa ansia, perché ci si sente particolarmente soli. Interrogativi ai quali occorre dare una risposta per poter alleviare e diminuire gli episodi di fame nervosa.

Seconda fase:

L’esercizio fisico.

Praticare costantemente uno sport e/o praticare tecniche di rilassamento (traning autogeno, power yoga, pilates..) aiuta decisamente a calmare la fame nervosa.

Terza fase:

Erbe e prodotti naturali

il citrus aurantium e la rodiola rosea riescono a controllare la fame nervosa.
Il tiglio, la melissa, l’angelica e la passiflora aiutano a calmare gli stati d’ansia.
Gli integratori a base di glucomannano, gomma guar, cellulosa e inulina invece, non venendo ben digeriti si gonfiano nello stomaco in presenza d’acqua e danno un senso di sazietà.

RICORDIAMOCI SEMPRE, CHE COMUNQUE LA MENTE COMANDA SUL CORPO..!!

p.s questo articolo e’ puramente a scopo informativo…

Roberto Eusebio
Campione nazionale assoluto di body fitness

The Warrior Diet (introduzione alla dieta)

Il piano alimentare “Warrior Diet” è stato ideato da Ori Hofmekler e si basa su una struttura molto semplice e intuitiva: l’alimentazione ciclizzata tra 2 fasi.

Queste 2 fasi sono:

    • fase 1 – sottoalimentazione (della durata di circa 20 ore)
    • fase 2 – sovralimentazione (per le restanti 4 ore)

Ad una prima analisi questa dieta lascia decisamente perplessi, infatti si scontra (e non poco) con tutte le nozioni base della dietologia moderna ovvero:

    • controllo delle calorie
    • pasti frequenti e bilanciati
    • evitare pasti abbondanti la sera (la fase di sovralimentazione di fatto è un unico pasto serale-notturno)

L’autore giustifica questo tipo di approccio usando come punto chiave il nostro livello di evoluzione come “cacciatori/raccoglitori”. Di fatto dal punto di vista fisiologico il nostro corpo non ha subito grossi cambiamenti da quando l’uomo ha smesso di vivere di caccia e raccolta.

FASE 1: Sottoalimentazione

Durante la prima parte della giornata sono consentiti pochi alimenti, per lo più di origine vegetale, semi e proteine semplici. Tutti cibi poco impegnativi per il nostro apparato digerente. Questo ha lo scopo di facilitare la detossificazione dell’organismo (che non stressato dai frequenti pasti ha più risorse per questo compito).
Inoltre il prolungato (ma controllato) stato di sotto-alimentazione innesca processi fisiologici come l’aumento della sensibilità all’insulina, e un maggiore produzione di ormoni anabolici per contrastare lo stato di “carenza di risorse” e sfruttare al meglio le poche presenti.

FASE 2: Sovralimentazione

Dopo la Fase 1 il corpo si ritrova svuotato di risorse e in una condizione di massima sensibilità ai nutrimenti. Questa particolare condizione (ottenibile appunto tramite la sotto-alimentazione controllata) fa in modo che la grande quantità di nutrimenti introdotta durante la sovralimentazione non vada persa ne “stoccata” come grasso (complice anche il basso livello di insulina). Durante questa fase non esiste particolare vincolo alla tipologia di cibo da assumere ne alla sua quantità. Il tutto viene “gestito” in base a 3 semplici regole:

    1. iniziare il pasto principale con cibi dai sapori più “leggeri” per passare poi a quelli più “forti”
    2. includere il maggior numero di sapori, colori, aromi, consistenze possibili nel pasto
    3. mangiare fino a sazietà o quando lo stimolo della sete è maggiore di quello della fame

Logica e Scienza

A supporto della sua dieta l’autore cita numerosi studi e ricerche.
Nel suo libro e sul website ufficiale (entrambi indicati tra i riferimenti di questo articolo) è possibile trovare maggiori informazioni in merito. Alcuni dei punti chiave nella logica a sostegno di questo tipo di alimentazione sono:

    • l’aspetto evolutivo nella fisiologia umana
    • la correlazione e la ciclicità tra anabolismo e catabolismo (entrambi meccanismi necessari al corretto funzionamento del nostro corpo)
    • la correlazione fra fattori di stress e adattamento (come sotto alimentazione e produzione di GH)
    • differenza fra digiuno e sottoalimentazione (spesso fonte di equivoci in relazione a questo tipo di dieta)

RIFERIMENTI

“The Warrior Diet” by Ori Hofmekler
http://www.warriordiet.org

Davide Canalia (Staff Bodytraining.it)

I Principi della moderna dietetica

gamberi principi di dietetica diete carboidrati proteine grassi glucidi protidi lipidiTutto ciò che mangiamo è composto da 3 macronutrienti essenziali: le proteine, i grassi e i carboidrati. Questi sono i “mattoni” che utilizza il corpo per le sue varie funzioni: plastiche (creazione o rigenerazione tissutale e ormonale) ed energetiche (generare energia mediante la scissione di glucosio).

Tutti e tre i principi nutritivi sono fondamentalmente formati da carbonio idrogeno e ossigeno, più o meno numerosi e articolati nella struttura chimica della molecola.

I CARBOIDRATI

Biochimicamente sono composti da carbonio, idrogeno e ossigeno. Il nostro corpo riesce ad utilizzare fondamentalmente solo il GLUCOSIO come fonte energetica diretta, da inserire nei processi metabolico-ossidativi, quindi sintetizzate ATP. Questa molecola ad alta energia, appunto, immagazzina e trasporta energia che in seguito cederà dove quest’ultima è richiesta.

Ci sono 2 grandi categorie di zuccheri, quelli semplici e quelli più o meno complessi.
Gli zuccheri semplici sono formati da uno(monosaccaridi) o 2 (disaccaridi) molecole di zucchero (principalmente glucosio e/o fruttosio); essi sono assunti in maniera rapida dal torrente ematico dal canale digestivo e sono una fonte di energia molto intensa, IMMEDIATA e a breve termine. Lo zucchero da cucina, chiamato saccarosio, è formato semplicemente da 1 molecola di glucosio e da una di fruttosio.

Quelli complessi sono catene molto più lunghe di molecole; vengono chiamati polisaccaridi/oligosaccaridi o, più semplicemente, AMIDI. Nel nostro corpo, il modo in cui viene stoccato il glucosio, è in lunghe catene sotto forma di GLICOGENO, presente in maggior ragione nel muscolo scheletrico, nel cuore e nel fegato. Forniscono energia a medio e lungo termine, visto che la loro scissione necessita più tempo a livello digestivo.
La cellulosa, la lignina, etc. – che vengono chiamate fondamentalmente FIBRE ALIMENTARI – non vengono digerite dall’uomo perché il nostro organismo è sprovvisto degli enzimi deputati a tale attività.

I mono e oligosaccaridi (quelli semplici) li assumiamo principalmente dai dolci, dalla frutta, da caramelle, torte,etc. Gli amidi, invece, li si assumiamo tramite i cereali, le verdure, le patate, la pasta, il pane etc.
Ogni grammo di carboidrati permette di generare ben 4 kilocalorie (kcal, spessissimo abbreviato in calorie).

LE PROTEINE

Sono il macronutriente ESSENZIALE per la rigenerazione del nostro corpo. Ogni cosa nel nostro corpo è a base proteica… Il nostro DNA codifica proteine particolari!
Una proteina è una combinazione particolare di AMINOACIDI, messi in diversa sequenza per svolgere funzioni diverse. Invertire o cambiare l’ordine di alcune proteine può avere conseguenze DISASTROSE sulla nostra vita…

Tutte le malattie genetiche comportano la modifica di anche una sola proteina! L’anemia, l’ipercolesterolemia, marker tumorali, e quant’altro sono semplicemente proteine non correttamente codificate. Appunto come detto prima, le proteine sono formate da basi più piccole, gli aminoacidi!

Gli aminoacidi in natura, quelli che sono proteinogenetici, sono in totale 20 diversi; otto di questi sono essenziali per l’uomo, cioè devono essere quotidianamente introdotti.
Alcuni alimenti forniscono proteine “nobili”, cioè altamente utilizzabili dal nostro corpo, con un buon rapporto aminoacidico… Invece altri sono carenti di uno o più aminoacidi, che rendono le proteine non perfettamente utilizzabili.
Per meglio chiarire quanto sopra esposto, è necessario introdurre il concetto di “valore” di una proteina: essa sarà più valida più il suo spettro aminoacidico sarà correttamente bilanciato e assimilabile.

Proteine molto pregiate e utili sono quelle delle uova (valore 100) e del latte (90), seguite poi dalla carne/pesce (80), dalla soia(70), dei legumi(60) e per ultimi dei cereali(40).

Il fabbisogno medio di proteine per un sedentario è circa 0,8 grammi di proteine per chilo di massa magra; 1,2 – 1,5 per un atleta normale e 2,0 – 2,2 per uno che cerca di mettere muscolo. Anche queste ultime forniscono 4 kcal per grammo.

I GRASSI

I grassi fanno parte sempre di uno dei tre macronutrienti che compongono i cibi. Sono importantissimi, molto più importanti di quanto le varie ditte di prodotti – per così dire, dietetici – vi vogliano far credere.

“STAMPATEVELO IN TESTA: I GRASSI CHE MANGIATE NON VENGONO STOCCATI COME GRASSO CORPOREO”

E’ sempre il totale calorico giornaliero inserito meno la “spesa energetica” giornaliera di ognuno che dice quanto uno ingrassa o dimagrisce, e questo è QUASI INDIPENDENTE da cosa abbiate mangiato quel giorno.
I grassi costituiscono praticamente OGNI membrana cellulare di ogni singola cellula del vostro corpo; la mielina che ricopre i neuroni è composta da lipidi; alcuni ormoni (tra cui l’adorato testo….Ahhhh che goduria, hihihihihi) sono a base lipidica.

Forniscono 9 kcal al grammo e sono il macronutriente più calorico a parità di peso… Quindi sono, fortunatamente, molto energetici! E’ quello il motivo per il quale il corpo stocca grasso e non mollica di pane; altrimenti gli obesi sarebbero come minimo il doppio….Ovviamente scherzo!

Il corpo stocca trigliceridi (è la forma più comune nella quale sono presenti i grassi: tre catene di acidi grassi unite da una molecola di glicerina). Fondamentalmente per 2 motivi: riserva energetica e coibentazione (praticamente protezione termica). In ogni momento della vostra vita, voi mettete grasso e bruciate grasso. Ogni 2 mesi tutto il vostro grasso è stato sostituito da altro grasso!

Esistono fondamentalmente TRE tipi di grassi: I SATURI, I MONOINSATURI e i POLINSATURI.
Si chiamano così in conseguenza del fatto che abbiano nessuno, uno o più doppi legami tra gli atomi di carbonio che li costituiscono.

GRASSI SATURI
Non hanno doppi legami tra atomi di carbonio, rendendo difficile la loro utilizzazione da parte del corpo; è consigliabile limitare l’assunzione di questo tipo di lipidi, sebbene una certa quota (diciamo il 10-20% del totale di grassi assunti) sia NECESSARIA per la sintesi, ad esempio, degli ormoni a base di colesterolo. Una carenza o uno squilibrio a questo livello porta GRAVI sintomatologie. Basti pensare che, se una donna riduce troppo l’assunzione lipidica, compare amenorrea, o ipogonadismo e impotenza nel caso dei maschietti.
I grassi saturi sono presenti fondamentalmente in tutti gli alimenti animali, in primis nel burro (composto quasi esclusivamente da grassi saturi), nel grasso animale e nei latticini in genere.

GRASSI MONOINSATURI
hanno un solo doppio legame tra atomi di carbonio; sono grassi con caratteristiche intermedie tra i 2 (anche se sono moooooolto più salutari dei primi…). Sono fondamentalmente insaturi i grassi maggiormente presenti nella dieta quotidiana: ne contengono, ad esempio, la frutta secca, l’olio di oliva, quello di semi etc.

GRASSI POLINSATURI
Hanno almeno 2 doppi legami, sono realmente necessari al corpo e sono una vera panacea. A sentire gli ultimi studi a riguardo: abbassamento del colesterolo, fluidificazione del sangue, aumento della sensibilità insulinica, effetto antinfiammatorio, potenziamento immunitario, protezione da tumori e radicali e tante altre belle cose fanno parte dei vantaggi di una dieta ricca di questo genere di acidi grassi.

Ne fanno parte i famosi omega 3 e omega 6; essi costituiscono un gruppo un po’ particolare in quanto questo tipo di grassi è altamente deperibile; ed infatti sono molto sensibili tanto che le alte temperature di cottura, agli agenti esterni e le radiazioni luminose compromettono le loro proprietà biologiche. Di particolare importanza – in questa categoria – è l’acido linoleico e quello linolenico, che sono la fonte principale di sintesi per gli “eicosanoidi buoni” .
Essi sono contenuti in piccola parte nella frutta secca (particolarmente nelle noci) e in gran parte nell’olio di lino, quello di pesce, nel salmone, nello sgombro e un po’ in tutti i pesci grassi.

Fatta distinzione tra le tre categorie, capiamo come sia importante in una dieta qualsiasi aumentare l’apporto di acidi grassi insaturi, visto che la nostra dieta – diciamo “sociale” – ci riempie di grassi saturi , mandando a quel paese il delicato equilibrio di cui necessitiamo per vivere bene ed a lungo.

 

 

Gabriel Petre

Come non ingrassare durante le festività natalizie…

In qmangiare meno non ingrssare abbuffarsi festività natalizie dimagrire dieta uesto articolo tratteremo qualche piccolo escamotage che vi permetterà di contenere il danno calorico che le festività natalizie posso causare alla vostra forma fisica, mettendo a dura prova anche il fisico migliore.

Ovviamente, vige sempre la regola di non abusare del cibo in maniera esagerata; la moderazione e l’allenamento, infatti, sono sempre la miglior arma di difesa, almeno per chi vuole restare in forma senza “troppi sacrifici”.

Avete in programma di abbuffarvi per un dato evento? Ad esempio le imminenti feste natalizie?

Vediamo insieme alcune possibili soluzioni per limitare i danni:

– PSEUDO RICARICA:

Ad una settima dal fatidico eccesso calorico, cominciate a diminuire l’assunzione di carboidrati per i primi 2 giorni, eliminandoli completamente nei 5 giorni restanti. Abbassate del 15% l’assunzione di proteine e limitate i grassi (ovviamente prediligendo i grassi insaturi), cercando di non superare un dosaggio di circa 15-20gr al giorno, pari a circa 135/180 Kcal.

Utilizzando questa strategia il vostro organismo scaricherà glicogeno per una settimana e perderete l’acqua immagazzinata nei muscoli; come conseguenza avrete un calo di 2-3 Kg e sarete pronti per la vostra abbuffata/eccesso calorico.Quando mangerete pasta, lasagne, etc. etc. il vostro corpo, che in precedenza è stato privato degli zuccheri, li immagazzinerà subito nei muscoli, evitando di trasformarli in adipe.

Questo semplice trucco può funzionare per due giorni consecutivi, ma ricordate di limitare – in ogni caso – le calorie dal terzo giorno in poi. Sia chiaro che la settimana in cui ridurrete i carboidrati in previsione dello “sgarro” deve far capo al concetto di dieta ipocalorica/low carbs. In sostanza, dovrete creare un deficit calorico che spinga il vostro organismo (in questo caso riducendo gli zuccheri) a consumare parte del glicogeno muscolare e parte dei grassi di deposito.

– MASTICAZIONE LENTA:

Quando nel giorno del “grande pasto” vi siederete a tavola, ricordate di masticare lentamente; so bene che vi sembrerà una cosa banale e già detta migliaia di volte, ma lo stomaco – prima di comunicare al cervello la sensazione di sazietà – può impiegarci anche 30 minuti e, quindi, mangiando lentamente, avrete presto la sensazione di sazietà. Conseguentemente, mangerete meno.

– LA VERDURA:

Se sarete voi a cucinare, non dimenticate di preparare molti antipasti a base di verdure poiché esse, contenendo molta acqua e fibre, vi daranno presto una sensazione di gonfiore e di sazietà, limitandovi in questo modo nel consumo dei primi e dei secondi.

Concludendo, durante i prossimi giorni di festa, non dimenticate di bere sempre molta acqua, poiché sarà in grado di aiutarvi nella digestione ed in tutti i processi metabolici (infatti, l’organismo per svolgerli al meglio, necessita proprio di acqua). Ricordate di alzarvi ogni tanto da tavola e di non sdraiarvi appena avrete la sensazione di essere sazi. Cercate – infatti – di muovervi per evitare un possibile blocco digestivo (cosa, per altro, poco piacevole).

 

Personal&Wellness trainer e preparatore atletico
Emanuele Pizzi

Azione dinamica specifica (ADS)

Molte persone non sanno che in un regime alimentare bisognerebbe valutare anche l’ ADS (azione dinamica specifica) o meglio la spesa energetica che avviene durante l’assimilazione/metabolizzazione del cibo, nel conteggio calorico totale di un regime dietetico sia per la massa che la definizione.

Infatti, ogni alimento introdotto nel nostro organismo, per essere metabolizzato, causa un dispendio energetico in grado di aumentare per qualche tempo(circa 6 ore) il metabolismo.

Analizzando i principali macronutrienti vediamo che:

    • Le proteine su 100 kcal aumentano il metabolismo di 30 kcal, circa il 30%
    • I carboidrati su 100 kcal aumentano il metabolismo di 6 Kcal, circa il 6%
    • I grassi su 100 kcal aumentano il metabolismo di 4 Kcal, circa il 4%

In pratica ne consegue che la quantità calorica introdotta dai suddetti macronutrienti risulta ridotta proprio dall’azione dinamico specifica degli alimenti. Ovvero, per metabolizzare/assimilare proteine, grassi e carboidrati, si consuma energia che va sottratta dagli alimenti stessi o dalle riserve organiche.

A seconda del tipo di dieta e dalla quantità dei vari macronutrienti, mediamente, si attribuisce all’ADS una percentuale calorica che và dal 3 al 12% circa dell’introito calorico totale giornaliero.

Ciò significa che se avete calcolato il vostro fabbisogno calorico totale di circa 2000Kcal e la percentuale calorica maggiore di esse deriva dalle proteine, dovete considerare che il 10/12 % circa di 2000 kcal verrà consumato proprio per l’assimilazione degli alimenti presenti nella dieta, aumentando cosi il vostro metabolismo.

In un regime alimentare misto, invece, l’ ADS delle proteine è ridotta dalla presenza degli altri cibi, ad esempio i grassi, che limitano l’ ADS di ogni principio nutritivo se presi in concomitanza. L’ ADS è causata dal lavoro delle ghiandole che producono i succhi digestivi, dall’assorbimento e dalla trasformazione dei prodotti della digestione.

E’ ovvio che questa spesa calorica, in un regime dietetico atto alla definizione, deve essere oggetto di attenta considerazione, onde evitare di introdurre un apporto calorico troppo basso che rallenterebbe il metabolismo, impedendovi di ottenere il dimagrimento desiderato.

Dispendio energetico e metabolismo basale

Il dispendio energetico totale rappresenta il consumo globale di energia di un individuo nelle 24 ore ed è la risultante di 3 componenti: la termogenesi indotta dalla dieta (TID), ovvero l’incremento della spesa energetica prodotto dall’assunzione degli alimenti, il livello di attività fisica (LAF),

e cioè il costo energetico che varia in funzione allo stile di vita, al tipo ed all’intensità dell’attività sportiva ed infine il metabolismo basale (MB o Basal Metabolic Rate, BMR) che rappresenta la quantità di energia impiegata da un individuo sveglio, in condizioni di neutralità termica (cioè ad una temperatura tale da non attivare i meccanismi di termoregolazione), di riposo fisico, di rilassamento psichico e di digiuno da circa 12 ore.

Questa energia è sufficiente per il solo funzionamento degli organi vitali e costituisce la componente più rilevante del dispendio energetico totale (Total Energy Expenditure, TEE) con una stima pari a circa il 65-70% in un soggetto adulto sano e sedentario (mentre la TID corrisponde circa al 7-15% del TEE ed il LAF al 15%).

Il MB è più alto negli uomini rispetto alle donne e diminuisce con l’età fino ad arrivare al 30% in meno superati i 70 anni. Questo perché il muscolo, contribuendo per il 22% alla spesa energetica ed essendo un tessuto metabolicamente attivo, consuma molte calorie. Pertanto, negli uomini, la disponibilità di testosterone aumenta la massa magra incrementando il MB e negli anziani, la prevalenza di massa grassa e lo scarso esercizio fisico inducono, invece, l’effetto opposto.

Il metabolismo basale è influenzato inoltre da:

    • fattori ormonali;
    • innalzamento della temperatura corporea;
    • stato nutrizionale;
    • temperatura esterna;
    • stati fisiologici come la gravidanza e l’allattamento;
    • utilizzo di farmaci.

Viene espresso in Kcal/die, Kcal/min, Kj/die o Kj/min e può essere calcolato con diverse formule matematiche. Ne riporterò di seguito alcune.

Possiamo ottenere una stima più precisa del metabolismo basale in funzione della massa magra (FMM). Avendo a disposizione parametri facilmente misurabili come la massa grassa ed il peso corporeo si può calcolare il MB di un individuo.

Facciamo un esempio: in un soggetto con peso corporeo di 90 Kg, di cui il 20% di massa grassa,

la massa magra è pari a:

[90 – (90*0.20)] = 72Kg – Dalla seguente tabella si ricava che il metabolismo basale è di 1925 Kcal.

I dati della tabella confermano le affermazioni sopra riportate e cioè che, aumentando la massa magra, il metabolismo basale subisce un incremento di quasi 200 Kcal ogni 10 Kg di massa muscolare acquisita.

Esiste un’unità di misura per esprimere il costo di un esercizio in termini di energia e di ossigeno:

è il MET (Metabolic EquivalenT). Un MET corrisponde a 3,5 ml di ossigeno consumato per chilogrammo di peso corporeo per minuto. Questo parametro dipende, quindi, dal peso dell’individuo e dalla durata dell’esercizio. Dire che un’attività fisica ha 5MET significa che l’energia necessaria per compierla è 6 volte superiore a quella utilizzata dall’organismo in stato di riposo. Può essere considerato d’intensità lieve uno sforzo che comporti un dispendio attorno ai 3 MET (camminare normalmente o nuotare lentamente), moderata quando il dispendio metabolico è compreso tra 3 e 6 MET (camminare velocemente o in salita) e medio-elevata quando il dispendio è superiore a 6 MET (pari ad un V . O2 di 21 ml/kg/minuto).


Per accelerare il metabolismo, quindi, bisogna:

    • avere costanza nell’allenamento: almeno 3 volte a settimana e di durata non inferiore a 60 minuti;
    • seguire un programma misto di esercizi che comprenda sia la fase di attività di potenziamento e tonificazione sia un lavoro aerobico;
    • mangiare bene, attenendosi ad una dieta sana ed equilibrata, evitando schemi alimentari drastici che porterebbero solamente ad un depauperamento del muscolo;
    • rendersi attivi nella vita di tutti i giorni usando la macchina il meno possibile e magari dimenticarsi dell’ascensore!

Stefania Foroni,
Dr.ssa in Dietistica.

Come sfruttare l’insulina per incrementare la massa muscolare

Il nostro campione, Francesco Crisafulli, spiega il rapporto carboidrati-energia; come sfruttare l’insulina per incrementare la massa muscolare, prestando attenzione a come, a quanto e a quando assumere determinati carboidrati.

Questo breve trattato vuole fare un po’ di chiarezza sullla corretta metodica alimentare con uno sguardo in più all’ indice glicemico ed alla stimolazione naturale dell’insulina.

Oggi vorrei spiegare come si può sfruttare l’IG (indice glicemico) in chi pratica dell’attività sportiva e che cerca di trarre il massimo da ogni aiuto che gli si presenta.

Per iniziare, possiamo dire che un miglioramento nell’utilizzazione dei carboidrati ottenuto tramite la manipolazione alimentare e l’utilizzo degli indici glicemici, può portare non solo ad un miglioramento, ma anche ad un aumento della massa corporea senza accumulo di grasso, nonché ad un calo delle frazioni lipidiche nel sangue, con conseguente riduzione dei fattori di rischio cardiovascolari. La scarsa tolleranza ai carboidrati, si traduce nella difficoltà a recuperare le energie una volta terminato l’allenamento ed a ricreare la riserva di glicogeno nei tessuti muscolari, nonostante l’esercizio fisico provochi un miglioramento della capacità di trasporto ed utilizzazione di glucosio (non solo da parte dei muscoli, forse perché quest’ultimo effetto è transitorio). Cominciare l’allenamento con una quantità di glicogeno limitata, implica una notevole difficoltà nel portare a termine allenamenti intensi, figuriamoci per chi si cimenta in gare agonistiche che durano ore (ciclismo, maratone, ecc..).

Le conseguenze di depauperamento delle riserve di glicogeno possono avere effetti dannosi in quanto si può favorire la produzione di ormoni catabolici. In sostanza, se le riserve di glicogeno sono già scarse prima di affrontare l’allenamento, l’organismo dovrà affidarsi all’azione degli ormoni dello stress per trovare le energie che permettano di portare a compimento l’attività. Il problema maggiore è che questi “cata-ormoni” dello stress continuano a rimanere in circolo anche dopo aver terminato l’allenamento e possono rimanervi anche dopo aver consumato un pasto che psicologicamente ci fa presupporre di aver recuperato e ripristinato le energie spese (niente di più sbagliato). L’aumento del cortisolo, portato a livelli tali che l’organismo deve affidarsi a lui per trarre energia, influenza negativamente l’elaborazione e l’utilizzazione dei nutrienti introdotti con l’alimentazione, anche a distanza di sei ore dalla fine dell’allenamento.

In aggiunta, il cortisolo, genera resistenza all’insulina e influisce sulla tolleranza ai glucidi. Per quanto riguarda il pasto precedente l’impegno fisico, solitamente si consiglia di assumere, approssimativamente un’ora prima, dei carboidrati; se, però, l’organismo non è in grado di utilizzarli in modo efficace, si può avere un innalzamento rapido dei livelli di glucosio, dannoso sia per l’attività (con conseguente rebound e calo delle prestazioni), sia per l’organismo stesso. E’ proprio in questi soggetti che può rilevarsi ottima la scelta di alimenti con indici glicemici moderati o bassi. Abituandosi ad un regime alimentare corretto e ad uno stile di vita idoneo lo sportivo, che prima soffriva di mal tolleranza glucidica, potrà migliorare il suo metabolismo con conseguente aumento della capacità di ricostituzione delle riserve di glicogeno ed una diminuzione nella secrezione degli ormoni dello stress indotti dall’allenamento.

Il risultato finale comporta un miglioramento della ritenzione di azoto (anabolismo) ed un rimodellamento verso un corpo più snello. Ribadisco che l’attività sportiva è uno dei metodi più efficaci per aumentare la tolleranza ai carboidrati. Nelle due ore che seguono l’allenamento, il trasporto di glucosio nei muscoli aumenta ed è ormai pratica comune assumere un pasto contenente una elevata quantità di carboidrati appena terminato lo sforzo fisico. Questi consentono una rigenerazione del glicogeno più efficace, interrompono la gluconeogenesi e riducono la secrezione del cortisolo. Adesso arriva il nodo al pettine: chi possiede una normale tolleranza ai carboidrati può assumere questo pasto non facendo attenzione al tipo di carboidrato ingerito, in quanto ha una metabolizzazione ottimale; il problema è per lo sportivo che possiede una minore capacità di utilizzare questi zuccheri introdotti (anche se parzialmente aiutato dall’attività fisica appena svolta) in quanto i livelli di glucosio nel sangue potrebbero elevarsi repentinamente rispetto alla capacità di utilizzazione dei tessuti, con la possibilità che questo si depositi come grasso e non come glicogeno. Per questi soggetti, è consigliabile assumere un pasto con alimenti a medio indice glicemico o, se proprio se ne assumono ad elevato IG, devono avere l’accortezza di diluire l’ingestione in tempi più lunghi o più frazioni. Per quanto riguarda la quantità (parametro che ha un’influenza non trascurabile), deve essere stabilita in base a prove di tollerabilità effettuate su singolo soggetto.

Mangiare più lentamente e consumare più spesso piccoli pasti riduce efficacemente la risposta glicemica di qualsiasi tipo di carboidrati. Ingerire 50g di glucosio in una sola volta provoca un innalzamento della glicemia a cento mentre assumendo la stessa quantità di glucosio nell’arco di un’ora avremo una minore risposta glicemica e farà somigliare questo carboidrato ad uno con un indice sicuramente inferiore.

(fonte: Wikimedia – autore: P. Forster)

Gli integratori di fibre solubili sono utili nel ridurre la risposta glicemica causata dall’assunzione di cibi con elevato IG perché ne rallentano la digestione e l’assorbimento. Ciò non significa che gli integratori possono sostituire gli alimenti naturali, ma solo che la loro utilizzazione può risolvere determinati problemi di carenze o intolleranze. Termino questo argomento, a mio avviso interessante, dicendo che esistono molte persone che, pur non rendendosene conto, possiedono una mal tolleranza ai carboidrati e che, seguendo diete ricche di questi nutrienti e povere in grassi, possono incorrere in spiacevoli sorprese. In questi casi è bene optare per quegli alimenti a basso o medio IG (sempre in relazione alla composizione del pasto) che possono favorire un utilizzo ottimale delle energie a disposizione ed ottimizzare tutti i processi metabolici dell’organismo che non si ritrova più in uno stato di handicap funzionale.

Francesco Crisafulli,
Personal Trainer e 2 volte campione Italiano F.I.P.C.F. CONI.

Acqua e Sport

L’acqua è la componente principale dell’organismo umano. Nell’uomo adulto rappresenta circa il 60% del peso corporeo distribuita in acqua intracellulare per il 40%, frazione strettamente legata con la massa cellulare metabolicamente attiva, ed acqua extracellulare per il restante 20%, che comprende il liquido interstiziale, il plasma e la linfa.

L’attività sportiva determina un incremento della spesa energetica ed una considerevole perdita di acqua sotto forma di sudore, aumentando di conseguenza il fabbisogno idrico.

Lo sforzo fisico incrementa la produzione di energia da parte delle fibrocellule muscolari aumentando di conseguenza l’utilizzazione dell’ATP (adenosintrifosfato), composto ad alta energia coinvolto in quasi tutte le reazioni cellulari, ed innalzando la temperatura corporea interna, elemento sfavorevole per la prestazione atletica. L’organismo umano, a questo punto, attiva necessariamente dei meccanismi di compenso in grado di ridurre la temperatura corporea: primo fra tutti, l’evaporazione del sudore. Quando il sudore evapora, la pelle ed il sangue si raffreddano per vasodilatazione e si abbassa la temperatura interna.


Il sudore è un liquido ipotonico secreto dalle ghiandole sudoripare della pelle, costituito prevalentemente da acqua ed in minima quantità da sali minerali quali sodio, cloro, magnesio e potassio. Nel soggetto allenato la sudorazione è anticipata e maggiore per questo motivo la termoregolazione risulta più efficiente. Il rovescio della medaglia sta nel fatto che forti sudorazioni comportano anche grandi perdite di acqua e di elettroliti, riducendo la performance fisica e mentale dell’atleta. Il sodio ed il cloro vengono riassorbiti grazie al meccanismo di risparmio dell’aldosterone il quale però può provocare perdite maggiori di potassio. Risulta elevata nel sudore anche la concentrazione plasmatica di magnesio. Questi ultimi due ioni svolgono importanti funzioni come il mantenimento dell’equilibrio elettrico delle pareti cellulari indispensabile nella propagazione dello stimolo per la contrazione muscolare. Se questa attività fosse alterata da una compromissione delle concentrazioni di potassio e di magnesio si verificherebbe l’insorgenza della fatica muscolare e quindi del crampo.

E’ importante per lo sportivo un’idratazione costante: pre-esercizio poiché, in alcuni casi, la velocità con cui vengono persi i liquidi con il sudore risulta superiore ai tempi di assimilazione dei liquidi assunti, ma anche durante e dopo l’allenamento. La rapidità con la quale ci si reidrata è correlabile anche ai tempi di svuotamento gastrico: infatti solo dopo è possibile assorbire, per via intestinale, l’acqua. Si tenga presente che, liquidi con grosse concentrazioni di zuccheri, tendono a ritardare lo svuotamento gastrico e quindi la reidratazione. Nelle bevande assunte concentrazioni di glucosio pari a circa 10-30 g. e di sodio tra 90 e 120 mEq/l rappresentano il valore ottimale per un adeguato assorbimento di acqua. Per chi pratica sport a livelli di intensità medio bassi e di breve durata, e si alimenta con una dieta equilibrata, è sufficiente bere solo acqua per circa 1,5-2 l. Una corretta idratazione dell’atleta inizia almeno 24 ore prima della performance: 2 ore prima dell’esercizio fisico bere circa 300-500 ml di acqua, durante l’attività sportiva, ad intervalli regolari di 20 minuti, 150-200 ml. L’uso di bevande contenenti carboidrati e/o elettroliti è consigliato solo se l’attività ha durata superiore ai 60 minuti.

L’American College of Sport Medicine raccomanda:

  • di seguire una dieta bilanciata e di bere una quantità adeguata di liquidi nelle 24 ore precedenti l’evento sportivo per favorire la pre-idratazione;
  • di bere 500 ml di liquidi 2 ore prima dell’esercizio;
  • di continuare a bere ad intervalli regolari durante lo sforzo;
  • di verificare che i liquidi ingeriti siano più freschi della temperatura ambiente;
  • di aggiungere una giusta quantità di carboidrati e di elettroliti alle bevande qualora l’esercizio intenso durasse più di 1 ora.

 

Stefania Foroni,
Dr.ssa in Dietistica.