Quelli di maggiore importanza sono rappresentati dall’amiloidosi epatica e dalla steatosi. L’amiloidosi è sempre secondaria ad altre affezioni generalmente di lunga durata. Il fegato si presenta aumentato di volume, duro e pallido ed alla superficie di taglio spicca l’aspetto lardaceo.
All’esame istologico si rinviene la presenza di sostanza amiloide negli spazi perisinusoidali dei lobuli. La sostanza amiloide risulta formata essenzialmente da glicoproteine e da mucopolisaccaridi acidi solforati. Anche qui la sintomatologia è quella della malattia che sostiene il processo degenerativo. La steatosi epatica, o degenerazione grassa, è una manifestazione legata ad intossicazioni croniche, tra le quali occupa un posto preminente l’alcoolismo cronico.
Il fegato è discretamente aumentato di volume, con margini arrotondati e di consistenza notevolmente diminuita per cui il parenchima è flaccido.
La superficie di taglio appare giallastra con strie verdastre per imbibizione biliare e gli acini si distinguono con difficoltà. All’esame istologico si rileva che le cellule maggiormente interessate sono quelle perilobulari, il cui citoplasma appare pieno di grasso ed il cui nucleo è schiacciato ed addossato alla parete citoplasmatica; inoltre non mancano fenomeni di citolisi e piccoli focolai di necrosi. Negli stadi inoltrati, si osserva proliferazione dei fibroblasti che tendono ad avvolgere i singoli lobi. La sintomatologia è caratterizzata da anoressia, astenia, turbe dispeptiche e compromissione dello stato generale. I fenomeni di necrosi si riscontrano in molte affezioni epatiche che vanno dall’epatite virale all’atrofia giallo acuta. Quest’ultima è una gravissima affezione epatica caratterizzata dalla necrosi diffusa e dall’atrofia del parenchima epatico. Le cause che la provocano possono essere molteplici, tra queste ricordiamo:
l’epatite virale, la febbre gialla, la spirochetosi ittero emorragica, gravi tossicosi gravidiche, avvelenamenti. Il fegato appare notevolmente diminuito di volume e pertanto presenta la glissoniana rugosa, la sua consistenza è notevolmente ridotta ed il parenchima è particolarmente friabile. Il colorito varia dal giallo verdastro nelle fasi precoci, al giallo rossastro nelle fasi più tardive. All’esame microscopico, il reperto caratteristico è rappresentato dalla presenza di focolai di necrosi essenzialmente centrolobulari, diffusi ad un gran numero di cellule epatiche, mentre altre cellule presentano fenomeni di degenerazione grassa. La sintomatologia è caratterizzata da ittero intenso, disturbi gastro-intestinali, contrazioni muscolari, stato soporoso. I casi fulminanti portano a morte entro pochi giorni, altri casi, di minore gravità, possono decorrere in modo sub-acuto con possibilità di sopravvivenza ma con evoluzione cirrogena (cirrosi post-necrotica). Con il termine di epatite si definisce invece un processo infiammatorio che interessa il parenchima epatico, indipendentemente dall’agente etiologico responsabile. Le epatiti si dividono in acute e croniche, queste seguono alle prime, ma a volte possono insorgere come tali in modo primitivo. Tra le forme acute ricordiamo: le epatiti purulente e l’epatite virale; quelle purulente si identificano nell’ascesso epatico, generalmente causato dal bacterium coli, stafilococchi e streptococchi: la raccolta ascessuale è delimitata da una capsula che contiene materiale necrotico di colorito giallo verdastro; si manifesta con febbre di tipo settico, dolore all’ipocondrio destro con irradiazione alla spalla omolaterale, leucocitosi neutrofila. Un tipo particolare ne è l’ascesso amebico, conseguenza di una amebiasi intestinale; esso può manifestarsi in forma unica, più difficilmente sotto forma di microascessi multipli. Anche questa cavità è delimitata da una membrana, ma contiene un liquame necrotico e brunastro. In effetti in questo caso si tratta di una necrosi massiva enzimatica del tessuto epatico. La sintomatologia è caratterizzata dall’improvviso rialzo termico durante una amebiasi intestinale e da dolore puntorio in sede epatica. L’epatite virale è una malattia infettiva contagiosa, generalmente a decorso acuto con andamento benigno, ma con possibilità di volgere verso la cronicizzazione a cui può seguire anche una particolare forma di cirrosi e che a volte, sia pure molto raramente, può complicarsi per l’insorgenza dell’atrofia giallo acuta del fegato. Attualmente se ne conoscono due tipi: l’epatite epidemica o iniettiva, provocata dal virus A, e l’epatite da siero o post trasfusionale, provocata dal virus B. Pur essendo certi che l’affezione è determinata da un virus filtrabile, ancora il virus responsabile non è stato isolato, né la scoperta dell’antigene australia, isolato dal siero di un australiano convalescente di epatite, ha perfettamente chiarito l’importanza che spetta a questo antigene, in quanto l’antigene si può riscontrare anche in soggetti che non hanno mai sofferto di epatite ed, in quelli affetti da epatite, il test HAA (antigene australia) è positivo con una variabile percentuale dal 75 al 25%. Il reperto anatomico è di notevole interesse ed è perfettamente conosciuto grazie alla biopsia epatica effettuata in stadi diversi del decorso della malattia. Nelle prime fasi si riscontrano fenomeni degenerativi isolati, a cui seguono focolai di necrosi cellulare che, nella fase precedente l’ittero, sono isolati, mentre successivamente diventano più estesi. Nella fase itterica, si osservano inoltre degenerazione vacuolare del, citoplasma ed alterazioni palloniformi del nucleo delle cellule interessate. La caratteristica fondamentale è rappresentata dalla presenza, nel citoplasma di queste cellule, di piccoli corpi rotondeggianti, detti corpi acidofili per le loro qualità tintoriali. Nei canalicdli biliari situati in vicinanza delle cellule colpite si riscontrano piccoli trombi biliari; i focolai di necrosi non sono estesi, ma disseminati sulla superficie del lobulo, prevalentemente nelle zone centrali; in essi le fibre argentofile presentano lievi alterazioni, mentre si riscontrano cellule di Kupffer, mononucleati di tipo linfomonocitario, rari neutrofili, eosinofili e fibroblasti. L’infiltrato infiammatorio è più accentuato in prossimità degli spazi portali, dove i canalicoli biliari presentano fenomeni distruttivi e degenerativi accanto a tentativi di neoformazione. Segue la fase risolutiva, caratterizzata dalla regressione dei fenomeni necrotici e dalla comparsa di cellule rigenerate che assumono il normale orientamento laminare; gli infiltrati si riducono man mano e ultimi a scomparire sono quelli localizzati negli spazi portali; ancora tuttavia per settimane o mesi, si possono riscontrare fibroblasti, fibrocidi e cellule istioidi, espressione di attivazione del mesenchima. La sintomatologia variabile da caso a caso è fondamentalmente caratterizzata da astenia, febbre e anoressia. L’ittero in linea di massima insorge con la caduta della febbre, ma in molti casi l’infezione virale decorre senza ittero. Nella forma tipica la malattia si risolve in qualche settimana; nell’ 1 % dei casi, il decorso è molto grave e conduce a morte in breve tempo con un quadro di atrofia giallo acuta; nel 5-10% dei casi si protrae per un periodo di 3-4 mesi ma si conclude con la guarigione, in altri casi ancora evolve nella forma cronica. Le epatiti croniche si suddividono in: epatiti croniche evolutive, ed epatiti croniche stabilizzate, queste ultime rappresentate dalla tubercolosi del fegato dall’epatite luetica e dalla fibrosi portale. Per mezzo della biopsia epatica è stato possibile conoscere con precisione il quadro istologico caratterizzato da:
infiltrazione infiammatoria uniforme di piccoli tratti portali, costituita da linfociti, istiociti e qualche plasmacellula, raramente neutrofili ed eosinofili; modesto aumento del numero dei duttuli, architettura lobulare rispettata, mentre alcuni epatociti periportali possono presentare aspetti degenerativi. Si osservano, inoltre, modeste proliferazioni mesenchimali focali nei lobuli e rari residui macrofagi carichi di pigmento. Clinicamente si manifesta con astenia ed epatomegalia e mancano i segni di una malattia cronica vera e propria. Nel siero dopo il primo anno il tasso delle transaminasi può oscillare tra i limiti della norma ed un lieve aumento; le gamma globuline si mantengono normali. La prognosi è buona, in quanto difficilmente si ha l’evoluzione in cirrosi. L’epatite cronica aggressiva si differenzia dalla forma precedente, per più gravi alterazioni portali e periportali. Le relazioni tra questa e l’epatite virale non sono sempre dimostrabili, ma in molti soggetti risultava nell’anamnesi una infezione virus epatitica, mentre in altri è stato isolato dal siero l’antigene australia. Dal punto di vista istologico, l’elemento caratteristico è rappresentato da una grave infiammazione periportale aggressiva che supera i limiti del tratto portale e si estende oltre la lamina limitante con necrosi del parenchima periferico. Nei tratti portali piccoli e grandi si riscontrano infiltrazioni infiammatorie costituite da:
linfociti, istiociti e plasmacellule, scarsi neutrofili ed eosinofili. Contemporaneamente sì determina una proliferazione dei duttuli biliari. Attorno alle cellule epatiche si accumulano fibre collagene e cellule mesenchimali da dove, in seguito, si formeranno setti di tessuto connettivo che si estenderanno entro il parenchima, con formazioni di setti intralobulari alterandone la normale struttura. La combinazione della necrosi parcellare, della infiltrazione infiammatoria e della proliferazione dei canalicoli biliari, sta a dimostrare lo stato di attività della noxa morbigena. La triade sintomatologica è rappresentata da: astenia, subittero o ittero franco, dimagrimento. L’epatite cronica aggressiva non corrisponde alla cirrosi, sebbene in questa possa evolvere con una notevole frequenza; in alcuni casi si può avere la guarigione clinica, in altri una relativa stabilizzazione, meno frequente è l’esito nei coma epatico per atrofia sub-acuta dei fegato- L’epatite lupoide, o epatite cronica di Waldestrom, è un’affezione lentamente progressiva che si manifesta prevalentemente in ragazze giovani in coincidenza della crisi puberale o subito dopo questa. La definizione di epatite lupoide è nata dalla frequente presenza in questi soggetti di cellule L.E. (cellule riscontrate per la prima volta nelle persone affette da lupus eritematoso, ma non specifiche di questa malattia). Facilmente si riscontra un’associazione con la tiroidite di Hashimoto o con colite ulcerosa o con artralgie o periarterite nodosa, motivo per cui va considerata come una malattia autoimmune. Dal punto di vista istologico il quadro è dominato da estesi infiltrati linfomonocitari in prossimità degli spazi portali, infiltrazioni di plasma-cellule con zone di necrosi cellulare in periferia dei lobuli. La tendenza all’evoluzione cirrogena è notevole. La sintomatologia clinica è dominata da disturbi mestruali, astenia, febbricola, subittero, ipergammaglobulinemia e, nella fase avanzata, da varici esofagee. Le cirrosi epatiche sono affezioni a decorso cronico progressivo, che portano nella totalità dei casi alla grave insufficienza epatica, caratterizzate dal punto di vista microscopico da necrosi e steatosi cellulare, fibrosi diffusa e principalmente dall’intimo sovvertimento del piano strutturale del fegato. Le due forme principali di cirrosi sono:
la cirrosi comune con le sue varietà, e la cirrosi biliare. La cirrosi comune viene ancora suddivisa in: cirrosi micronodulare, macronodulare e mista. In effetti il quadro clinico ed anatomopatologico sono sempre uguali, fatta eccezione per la grandezza dei noduli. La forma paradigmatica delle cirrosi è l’a cirrosi atrofica di Morgagni Laennec. Il fegato si presenta di volume rimpicciolito con capsula ispessita, la superficie è cosparsa di noduli di varia grandezza e la sua consistenza è sempre aumentata. La superficie di taglio si presenta di colorito grigio con sfumature giallastre e con aree nodulari multiple delimitate da tessuto connettivale sclerotico. Microscopicamente spicca la profonda alterazione della struttura lobulare. Gli spazi porto biliari sono riuniti tra di loro da connettivo collageno, il quale si spinge nello spessore dei singoli lobulì suddividendoli. In questo tessuto connettivo si rinvengono piccoli vasi venosi e canalicali biliari trombizzati. A volte questo tessuto, specie nelle fasi iniziali, è infiltrato da elementi infiammatori. Molte cellule presentano gravi alterazioni regressive ed infiltrazione grassa, altre sono in preda a necrosi coagulativa. Accanto a queste alterazioni, si rinvengono le formazioni di pseudolobuli, da parte di cellule epatiche variamente orientate, non radialmente e senza precisi rapporti con la vena centrolobulare, il che esprime la rigenerazione nodulare. Le cellule rigenerate sono di dimensioni maggiori della norma e presentano due o più nuclei. Ne deriva un pervertimento strutturale del parenchima epatico, che costituisce il quadro caratteristico della cirrosi. La sintomatologia è legata alla manifestazione del versamento ascitico, poiché, prima della comparsa dell’ascite, i segni clinici sono molto vaghi e rappresentati da astenia, anoressia, meteorismo. Nel periodo ascitico, compaiono edemi agli arti inferiori, varici esofagee, e lo stato generale appare notevolmente compromesso. Le proteine del sangue presentano un’inversione del normale rapporto albumine globuline, per diminuzione delle albumine ed aumento delle gamma globuline. La prognosi è sempre infausta. La cirrosi a grossi nodi si identifica nella cirrosi post-necrotica che segue a necrosi epatiche massive quasi sempre in corso di epatite virale. Quello che differenzia questo tipo dalle altre forme di cirrosi è la presenza di vaste aree di fibrosi con voluminosi noduli di rigenerazione, per cui si notano aree depresse e compatte di fibrosi che interessano estesi tratti di fegato e noduli di rigenerazione, in numero limitato, di enormi dimensioni. Dal punto di vista microscopico si differenzia per la presenza di zone in cui è ancora riconoscibile il normale parenchima epatico, per la rigenerazione eccessiva, ma con riproduzione della normale struttura lobulare, e per l’assenza o quasi di degenerazione grassa degli epatociti. Nella cirrosi biliare, a differenza delle forme sopradescritte, il fegato è ipertrofico per il prevalere dei fenomeni di rigenerazione sulla necrosi. La superficie è generalmente liscia ed il colorito del parenchima è verdastro. Istologicamente si reperta una grave infiammazione a livello degli spazi portali, che si dirige alla periferia dei lobuli seguendo i dotti biliari interlobulari, il cui lume contiene elementi infiammatori nonché trombi biliari. Successivamente si ha un aumento del tessuto connettivale negli spazi portali e da qui si infiltra tra i lobuli suddividendoli. Negli stadi terminali il quadro miscroscopico è sovrapponibile a quello della cirrosi comune. Le principali affezioni delle vie biliari sono: l’angiocolite, la colecistite, la calcolosi della colecisti e le neoplasie. L’angiocolite è un processo infiammatorio delle vie biliari intra ed extra-epatiche, sostenuta da germi diversi (bacterium coli, stafilococchi, streptococchi). L’alterazione anatomica consiste in un turgore della mucosa, desquamazione dell’epitelio, infiltrazione leucocitaria ed iperproduzione di muco. Ne deriva che la sintomatologia è dominata dalla febbre, dolore all’ipocondrio destro ed ittero. Per colecistite si intende un processo infiammatorio della vescichetta biliare che riconosce nella etiologia batteri diversi (bacillo del tifo, bacterium coli, ed alcuni germi anaerobi). Le alterazioni anatomiche consistono in edema della mucosa, infiltrazione leucocitana, ipersecrezione di muco. Quando si produce un’occlusione della colecisti per eccessivo edema dei collo, si determina una notevole dilatazione della colecisti che va sotto il termine di idrope; ove il contenuto si trasformi in essudato purulento, si ha l’empiema della colecisti. I segni clinici della colecistite infiammatoria sono: dolore a tipo colica ad insorgenza in sede epigastrica o nell’ipocondrio di destra con irradiazione alla spalla destra, brividi, febbre, nausea, vomito biliare, raramente subittero. La colelitiasi è una affezione morbosa, caratterizzata dalla presenza di calcoli nella colecisti. I calcoli possono essere costituiti da colesterina o da bilirubinato di calcio, oppure sia dall’una che dall’altro. Possono essere di varia grandezza, da un grano di pepe ad un uovo di piccione, multipli o unico. Possono passare inosservati per tutta la vita oppure dar luogo a manifestazioni dolorose ed infiammatorie, in tal caso il quadro clinico non differisce sostanzialmente da quello della colecistite infiammatoria. A volte i calcoli di piccola dimensione possono migrare nel coledoco ed occluderlo determinando ittero per stasi biliare. I principali tumori delle vie biliari sono: il carcinoma della cistifellea ed i carcinomi dei dotti biliari extraepatici. lì carcinoma della colecisti può presentarsi sotto forma di adenocarcinoma di aspetto gelatinoso, cancro ad epitelio piatto e scirro. Questo infiltra tutta la colecisti e tende ad infiltrare anche gli organi vicini. La sintomatologia facilmente viene confusa con quella di una banale affezione della colecisti, differisce essenzialmente per la rapida compromissione dello stato generale. I carcinomi dei dotti biliari extraepatici si possono localizzare al coledoco, all’epatico comune, alla papilla ed al cistico. Tranne che in questa ultima evenienza, la sintomatologia è caratterizzata da ittero ingravescente, febbricola, epatomegalia, anoressia; ovviamente nella localizzazione dei cistico manca l’ittero.
VEDI ANCHE:
Il fegato: costituzione anatomica
Il fegato: le funzioni
Il fegato: la bile
Il fegato: esplorazione funzionale
Un rigraziamento speciale
all’ autore e redattore dell’ articolo: Enrico De Stefani