Vigili del Fuoco di Roma, un iniziativa per l’Africa

Sensibile al tema sociale Bodytraining.it si impegna a dare visibilità a questa iniziativa:

CON POCHI EURO SARÀ POSSIBILE REALIZZARE UN POZZO E DARE ACQUA E SALUTE

I Vigili del Fuoco di Roma stanno promuovendo un importante iniziativa umanitaria che ha come scopo la realizzazione di una piccola ma fondamentale infrastruttura all’interno del villaggio africano di Manyatta in Kenya.

“Un Pozzo per la Vita”, questo il nome dell’iniziativa, sta raccogliendo la solidarietà dei dipendenti del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Roma.

Operatori, impiegati e dirigenti, tutti uniti per un iniziativa concretissima, partita grazie all’idea di una giovane volontaria dei Vigili del Fuoco, che in Kenya c’è stata per motivi di studio e di solidarietà.

 

Un migliaio di euro può già rappresentare una somma sufficiente per cambiare la vita di centinaia di persone che oggi non hanno accesso all’acqua potabile e che muoiono a causa di malattie come la malaria ed il colera.

La mancanza di un accesso sicuro alle fonti d’acqua costringe ogni giorno donne e bambini a ricercare pozze sorgive che non sono per nulla sicure e che rappresentano un veleno potentissimo.

Una bomba epidemiologica che potrebbe essere evitata con la costruzione di pozzi sicuri in ciascun villaggio. I Vigili hanno deciso di adottare il Villaggio di Manyatta ed è questo un primo passo verso una maggiore sensibilizzazione al problema.

La raccolta fondi è già partita all’interno delle sedi e delle caserme dei Pompieri, quegli stessi pompieri che sono ogni giorno impegnati nel soccorso e nella salvaguardia della vita altrui.

Sia nell’ordinaria che nella straordinaria amministrazione i vigili sono il punto di riferimento della cittadinanza, senza la loro competenza ed il loro spirito di sacrificio saremmo tutti meno sicuri.

Oltre a ciò i vigili sono da sempre coinvolti in iniziative di solidarietà, e questa è l’occasione per unirci a loro nella realizzazione concreta di questo progetto.

Per fare questo è stato messa a disposizione di tutti un codice di Posta Pay intestata a Khadija Ramadhan Juma, responsabile amministrativa del progetto.

Con pochi euro è possibile arrivare alla cifra necessaria per la costruzione di un pozzo, anche se la speranza è quella di poterne costruire altri ancora per garantire la salute di tante centinaia di uomini,donne e bambini.

Codice Posta Pay: N°4023600553734486

Per ulteriori informazioni:

Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Roma

Via Genova 3/a 00186 Roma

Ufficio Comunicazioni Esterne

tel. 06/46722237

fax 06/46722238

e-mail progetto: senzaditenonpozzo@libero.it

Autore e redattore dell’ articolo

Renato Scattarella

 

“la Voce” parla di Bodytraining.it

Il noto quotidiano della costa litorale romana “la Voce” parla di noi in un suo articolo, che ha colto proprio nel segno lo spirito e la serietà di Bodytraining.it.

Ebbene, il fatto che mai, sino ad ora, un così giovane portale web abbia ricevuto un articolo a pochi mesi dalla sua nascita significa, evidentemente,che stiamo lavorando bene ed in maniera unica.

Del resto, siamo una delle poche realtà presenti nel web che si affida a fonti autorevoli e riconosciute, considerato che, nel nostro staff, sono presenti molti medici specializzati e tecnici dotati di autorevolezza ed esperienza nel settore sportivo, non certo improvvisati istruttori della domenica!

 

Il Fegato : la Bile

Il fegato produce la bile che, attraverso i canalicoli e le vie biliari intra ed estraepatici, si raccoglie nella colecisti, pronta ad essere riversata nel duodeno in seguito a stimoli neuro-umorali che vengono liberati durante la digestione.

La bile risulta formata da: acqua, pigmenti biliari, sali biliari, mucina, colesterolo, fosfolipidi, acidi grassi, grassi neutri ed enzimi. I pigmenti biliari sono rappresentati dalla bilirubina e dai suoi derivati. La maggior parte della bilirubina deriva dalla componente protoporfirinica dell’emoglobina, la quale rapidamente viene convertita in bilirubina in tutto il sistema reticolo-istiocitario.

La bilirubina così formata è solubile nei grassi, viene trasportata al fegato legata ad un’albumina, e qui subisce importanti modificazioni per cui diventa idrosolubile e pertanto può essere eliminata attraverso gli organi emuntori.

In prossimità dell’epatocita, la bilirubina si libera dall’albumina e, nel reticolo endoplasmatico della cellula epatica, ad opera dell’enzima glicoronil-transferasi, viene coniugata con l’acido glicuronico; solo una piccola quantità di bilirubina viene coniugata con altre sostanze, tra le quali ricordiamo il solfato attivo. La glicuronoconiugazione provoca modificazioni di numerose proprietà chimico-fisiche della bilirubina, tra le quali la più importante resta sempre la solubilità nell’acqua, il che permette l’escrezione del pigmento attraverso la bile ed i reni. L’escrezione dalla cellula epatica al canalicolo biliare avviene con meccanismo che richiede una certa quantità di energia, la quale viene fornita da alcune tappe del metabolismo degli zuccheri. Quando si è parlato del metabolismo lipidico è stato detto come il colesterolo viene sintetizzato nel fegato partendo dall’acetil-coenzima ed una parte viene esterificata con acidi grassi. La bile contiene una modesta quantità di colesterolo, la maggior parte del quale viene trasformato in acidi biliari, i quali, dopo coniugazione con taurina e glicina, vengono eliminati sotto forma di sali (taurocolato e glicocolato di sodio). La quantità giornaliera di bile prodotta dal fegato oscilla intorno al litro; è di colorito giallo chiaro e si raccoglie nella colecisti, dove subisce una energica concentrazione per riassorbimento dell’acqua, cloruri e bicarbonati. Alcuni alimenti quali il tuorlo d’uovo, i grassi in genere, i peptoni nonché l’acido cloridrico diluito, promuovono a livello della mucosa duodenale la liberazione della colecistochinina, ormone che passa in circolo e stimola per via sanguigna la contrazione della colecisti. Alla contrazione segue lo svuotamento del viscere mentre lo sfintere di Oddi si rilascia. A proposito dello sfintere di Oddi sarà opportuno precisare che, indipendentemente da quella che può essere la sua innervazione, perde la tonicità allorquando la pressione biliare, nel coledoco, raggiunge i 20-25 cm d’acqua. Lo svuotamento della colecisti può anche essere provocato dall’impiego di alcuni farmaci conosciuti con il termine di colagoghi, tra i quali ricordiamo il solfato di magnesio, al quale si riconosce anche una azione coleretica (stimolante la produzione di bile). La bile arriva nel duodeno durante la digestione ed è indispensabile per il normale svolgimento di questa. La bile infatti, ad opera dei suoi sali, abbassa la tensione superficiale dei grassi favorendone l’emulsionamento, per cui questi vengono più facilmente attaccati dalla lipasi pancreatica, la quale a sua volta viene attivata dalla bile. Ma ancora, i sali biliari si uniscono agli acidi grassi, favorendone l’assorbimento, hanno un’azione stimolante la peristalsi intestinale e sono degli ottimi coleretici. Con analogo meccanismo dell’assorbimento dei grassi, si compie quello delle vitamine liposolubili (A-D-E-K), per cui, quando si stabilisce un ostacolo al normale deflusso biliare, si determinano degli stati carenziali di queste vitamine. Gli acidi biliari, ad opera della flora batterica intestinale, nel tratto distale del tenue, vengono deconiugati dalla glicina e taurina e trasformati in acidi desossicolici e litocolici e, come tali, in buona parte sono riassorbiti e ricondotti al fegato, dove riacquistano il gruppo ossidrilico (OH) e dopo coniugazione con gli aminoacidi vengono escreti di nuovo con la bile. Si ha, pertanto, un ciclo enteroepatico dei sali biliari, il che si verifica anche per la bilirubina. Infatti, la bilirubina coniugata, giunta nell’intestino, subisce una serie di trasformazioni ad opera degli enzimi della flora batterica intestinale, e infine i suoi derivati vengono riassorbiti e riportati al fegato. La prima reazione consiste in un processo di idrolisi, per cui avviene la scissione dell’acido glicuronico dalla bilirubina che ritorna libera. Questa, per una serie di reazioni ossido-riduttive, viene trasformata in: mesobilirubinogeno, urobilinogeno e stercobilinogeno. Il mesobilirubinogeno perdendo due atomi di idrogeno si trasforma in urobilina IX, con meccanismo analogo, lo stercobilinogeno si trasforma in stercobilina e l’urobilinogeno in urobilina. La stercobilina viene eliminata con le feci a cui conferisce il colore caratteristico. Una quota di bilinogeni viene riassorbita e riportata al fegato e da questo nuovamente escreta con la bile, una piccola quota sfugge al fegato e viene eliminata attraverso i reni sotto forma di urobilinogeno che all’aria si ossida in urobilina. Ricordiamo infine che una modesta percentuale di bilirubina non viene scissa dalla flora batterica, e pertanto rimane nell’intestino sotto la forma coniugata e, molto probabilmente, come tale viene eliminata con le feci, in quanto esiste una barriera intestinale che si oppone al riassorbimento della bilirubina coniugata.

 

VEDI ANCHE:
Il fegato: costituzione anatomica
Il fegato: le funzioni
Il fegato: esplorazione funzionale
Il fegato: fenomeni degenerativi

 

Un rigraziamento speciale
all’ autore e redattore dell’ articolo: Enrico De Stefani

Il progetto prende forma…

Ora come non mai, grazie agli innumerevoli sforzi fatti ed al nuovo membro dello Staff, il dr. Luigi Mossa – medico chirurgo, specializzando in ortopedia

Bodytraining.it,

il network italiano del benessere e dello sport, prende forma e si muove verso un progetto ben preciso e delineato che ha, come punto cardine, una sana e precisa informazione della pratica sportiva e della salute che da essa deriva.

Il dr. Luigi Mossa, grazie alla sua esperienza,sarà un valido supporto al nostro portale ed al forum che esso contiene poiché, grazie alla sezione ortopedia e sport, potremo finalmente parlare in maniera chiara e veritiera di tutto ciò che riguarda la pratica osteoarticolare che l’ attività fisica comporta e chiarire finalmente, grazie al suo prezioso aiuto, tutti i dubbi che fino ad ora sono stati discussi solo da persone senza competenza in materia.

Sicuri che il progetto non si fermerà, per ora possiamo solo affermare che Bodytrainig.it si impegna e si impegnerà sempre per fornirvi tutte le informazioni reali e concrete che cercate.

Per ogni vostro dubbio:

Bodytraining.it

sport, salute e benessere

Le Tendiniti

Come si presenta una tendinite?

Chi di noi almeno una volta nella vita non ha sperimentato quella fastidiosa sensazione di peso e vago dolore, o localizzato su una articolazione (la spalla, il ginocchio o il gomito) o anche irradiato a monte o a valle di essa, magari dopo uno sforzo prolungato, a freddo, dopo un periodo di inattività?

Il “fastidio” spesso è stato così intenso e prolungato da ostacolare le normali attività sportive o quotidiane per settimane o mesi. I soli anti infiammatori, pur fornendo un beneficio temporaneo, non lasciano giovamento dopo la sospensione.

E allora iniziava la trafila di consigli, confronti con i compagni di allenamento, visite specialistiche, ecografie, risonanze magnetiche, radiografie, quasi sempre inconcludenti.

E poi, dopo un tempo indeterminato, quasi senza ragione apparente il sintomo svanisce come è insorto.

Probabilmente si trattava di una tendinite.

Queste comuni e indesiderate compagne delle nostre attività sportive sono state oggetto di studio dei maestri della traumatologia dello sport. Interi trattati, libri di testo, articoli pubblicati quotidianamente sulle più quotate riviste scientifiche ne parlano con intramontato interesse.

Anatomia di base:

Il muscolo scheletrico è responsabile del movimento delle ossa, permettendo di camminare, sollevare, saltare e compiere movimenti di vario genere. L’esecuzione del movimento è possibile grazie alla contrazione di un muscolo attivatore (agonista) dell’articolazione tributaria ed al rilasciamento del suo antagonista. La struttura che trasmette la forza della contrazione muscolare al capo osseo tributario è il tendine, una struttura fibro-elastica flessibile e particolarmente resistente.

I tendini sono di diverse sezioni e dimensioni.

Alcuni, presenti negli arti superiori a livello dell’avambraccio, pur essendo molto piccoli e sottili, consentono non solo l’esecuzione di movimenti fini delle dita, ma anche l’azione della presa, di intensità spesso notevole, come avviene negli esercizi di sollevamento pesi.

Altri ancora, come il tendine quadricipitale e achilleo sono molto più spessi e sono deputati a contrastare la forza di gravità nella stazione eretta in fase statica e dinamica (passo-corsa).

Quando funzionano normalmente i tendini scorrono nelle loro logge lubrificate (guaine tendinee) in maniera fluida ed efficiente.

Quali sono le cause di una tendinite?

Talvolta, per diverse ragioni, un tendine si infiamma, il movimento del tendine nella sua strada anatomica perde di fluidità ed il meccanismo di trazione esercitato dal muscolo diviene un ulteriore stimolo irritativo.

La causa più comune di tendinite è su base irritativa per il sovraccarico funzionale.

Comunemente l’atleta dilettante avvia un programma di esercizi senza una tecnica di allenamento di base (riscaldamento, controllo del movimento) , o incrementa i propri carichi di lavoro sconsideratamente, e allora inizia a sperimentare le tendiniti: infatti il tendine che non sia preparato ai nuovi carichi di lavoro non è “educato” allo sfruttamento delle proprietà di elasticità che lo contraddistinguono, ed il suo sovraccarico comporta una infiammazione. Questa, se misconosciuta può cronicizzare nel perseverare di un allenamento improprio.

Un’altra causa comune di tendinite è su base degenerativa correlata all’età (tendinosi).

Con il passare degli anni, il tendine perde le proprietà elastiche e vascolari che lo caratterizzano nelle prime 2-3 decadi di vita. L’aumento relativo della sua rigidità , comporta una minore compliance del tendine agli stress meccanici sulle fibre costitutrici, che si possono lacerare per non guarire (sfibrillamento) o guarire male (deposizione di sali di calcio – tendinopatie calcifiche). Nelle forme degenerative, è piuttosto frequente anche la rottura del tendine (es. tendini della cuffia dei rotatori della spalla, tendine d’Achille).

Un ultimo gruppo di flogosi tendinea è quello delle tenosinoviti, in cui non è tanto il tendine ad essere infiammato, quanto la guaina sinoviale (loggia lubrificata) in cui scorre. In questi casi, o per la presenza di piccole deformità del tendine (cisti irritative o degenerative) o per alterazioni infiammatorie della guaina stessa, il tendine non scorre con la dovuta fluidità, ma “grippa”, irritando ulteriormente la guaina.

Classificazione anatomo-patologica

Tendinopatie inserzionali

Tenosinoviti stenosanti

Tenosinoviti ipertrofico-essudative

Peritendiniti

Tendinosi

Forme miste

Lussazioni

Rotture sottocutanee

Le sedi più colpite

Tutte le articolazioni, dalle grandi (spalla, anca, ginocchio) alle piccole (gomiti, caviglie) possono essere sede di tendiniti. Tra i praticanti di body-building a livello amatoriale a farla da padrone è la tendinite del Capo Lungo del Bicipite Omerale della spalla.

Il disturbo spesso insorge dopo uno sforzo eseguito in fase di contrazione eccentrica dei muscoli della spalla ad esempio in fase di spinta su panca piana, panca inclinata o lento dietro. Il tendine, stirato oltre quanto concesso dalla sua riserva elastica si lacera in maniera invisibile ad occhio nudo, e si genera una infiammazione. Dopo una fitta iniziale il disturbo diviene più vago, associato ad un senso di peso doloroso anche notturno nella regione antero-mediale della spalla, spontaneo o provocato dai movimenti. Occasionalmente si può avvertire una sensazione meccanica di click-clack nella stessa sede, ai movimenti di intrarotazione o extrarotazione della spalla (sublussazione del tendine).

La diagnosi

La comparsa di sintomi sospetti deve allertare l’atleta, e porlo nelle condizioni di identificare, se possibile, un “primum movens” del disturbo.

In prima istanza si impone il riposo funzionale dell’articolazione colpita, con la sospensione immediata di tutte le attività motorie non necessarie. Questa, da sola può essere risolutiva,e talora, diagnostica della patologia.

A dispetto di qualunque accertamento diagnostico fai da te resta necessaria una visita ortopedica o fisiatrica, che grazie alla anamnesi ed all’esame obiettivo, permette nella stragrande maggioranza dei casi una tempestiva diagnosi. Solo nei casi dubbi, in cui si sospettino lesioni associate, può essere richiesta una ecografia o una risonanza magnetica mirata su un territorio specifico. Nelle forme degenerative, il sospetto di tendinopatie calcifiche può richiedere anche l’impiego di RDX in particolari proiezioni.

Il trattamento

Le forme acute, subacute, croniche, qualunque esse siano, tutte richiedono in primis il riposo, con buona pace dell’anima (dura lex sed lex!!).

Sulla base della diagnosi clinica e strumentale è possibile identificare la sede e le caratteristiche del disturbo, ed approntare le terapie appropriate che variano molto a seconda che si tratti di tendinite acuta o cronica.

Generalmente queste sono:

terapia fisica (crioterapia, stretching, potenziamento isometrico-isotonico contro resistenza, tecarterapia, ionoforesi)

medica (FANS o Corticosteroidei assunti per os o infiltrati localmente)

terapia chirurgica (riservata a casi cronici selezionati, resistenti alle terapie mediche).

Resta sempre doveroso segnalare che questo semplice articolo vuole avere un carattere unicamente divulgativo. Dovere del medico è prima di tutto scoraggiare qualunque iniziativa terapeutica fai da te, ed indirizzare il paziente verso un coscienzioso inquadramento delle problematiche cliniche, degli iter diagnostici e delle terapie più utili e adeguate.

 

Dr. Luigi Mossa
Medico Chirurgo specializzando in Ortopedia

Fluttuazioni ormonali e dimagrimento : Strategie per perdere peso

Introduzione ai concetti chiave dell’aumento e diminuzione di grasso corporeo.

Testosterone, Estrogeni e Recettori Adrenergici correlati con Adrenalina e Noradrenalina.

L’energia muscolare proviene da due fonti: dal glicogeno e dai trigliceridi depositati nelle cellule muscolari, trasformati in ATP (adenositrifosfato) dal sangue che apporta glucosio e acidi grassi derivanti entrambi dalla nutrizione, o dalla lipolisi del tessuto adiposo.

Il grasso è normalmente accumulato sotto forma di trigliceridi nelle cellule adipose. Quando si inizia a condurre un regime alimentare ipocalorico si innescano due differenti processi:

1. la lipolisi del tessuto adiposo che fa in modo di far passare il grasso sotto forma di acidi grassi dalle cellule adipose al sangue.

2. la Beta-ossidazione dei grassi, e cioè quel processo mediante il quale, gli acidi grassi portati nel sangue vengono bruciati per fornire energia a lungo termine.

La lipolisi è principalmente stimolata da due ormoni: l’Adrenalina e la Noradrenalina che agiscono su degli specifici recettori distinti in Recettori Alfa-adrenergici, Beta-adrenergici ed i B1 B2 B3 adrenergici.

Passando attraverso il flusso sanguigno questi due ormoni compiono la loro azione a seconda che si leghino con quelli alfa o con quelli beta. Il tessuto adiposo contiene sia i recettori alfa che quelli beta con la sola differenza che quando i suddetti ormoni si legano a quelli alfa inibiscono la lipolisi mentre a quelli beta la stimolano.

L’obesità maschile e femminile prende due nomi differenti: ginoide (a pera) quella femminile e androide (a mela) quella maschile. La struttura genetica assume un ruolo determinante riguardo ai processi di tonificazione e rassodamento. Ad esempio nella donna, e precisamente nella sua regione addominale, troviamo più recettori beta-adrenergici mentre nella zona dei glutei e delle cosce troviamo maggior percentuale di recettori alfa. Nell’uomo invece la regione addominale contiene pochi recettori beta-adrenergici a vantaggio delle cosce e glutei che sono costituiti da molti recettori beta. Infatti molto spesso il maschio ha la classica pancia ma gambe toniche e con poco grasso, mentre la donna ne ha di più nelle zone delle gambe e glutei piuttosto che nell’addome. Non dimentichiamo però che esistono anche dei casi particolari dove si può verificare il contrario legati a sbalzi ormonali.

Ho già detto che la distribuzione dei recettori adrenergici è influenzata dagli ormoni sessuali e dunque dal testosterone, che distribuisce il grasso nel giro vita, e dagli estrogeni, che lo fanno accumulare nella parte bassa. Conseguentemente si può quindi giungere alla conclusione che, anche se avessimo una maggior produzione di ormoni adrenalina e noradrenalina nel sangue prodotte dalle ghiandole surrenali a causa di una dieta ipocalorica ma una grande percentuale di recettori alfa e poca di quelli beta, il nostro risultato lipolitico sarà proporzionalmente scarso.

Possiamo aiutare il nostro metabolismo con delle sostanze che stimolino i recettori beta, ad esempio con la caffeina, sinefrina ecc. e bloccare gli alfa con la yohimbina. Non basta però solo questo a risolvere la situazione.

Un altro fattore molto importante è la circolazione sanguigna. Io direi anzi che è il fattore nel quale il più delle volte è da ricercare un accumulo di grasso sproporzionato.

Molto spesso si vedono delle persone grasse ma, nella maggior parte delle volte a meno che non ci siano problemi di angiopatia, gli avambracci e i polpacci sono magri e tonici. Come mai? Il motivo è che queste parti sono anche le più tenute in movimento durante tutto l’arco della giornata e dunque più irrorate di sangue. Quale è allora la causa di tutto ciò? Il motivo risiede nel fatto che l’afflusso sanguigno abbondante nella zona, che ripetutamente è in movimento, impedisce l’esterificazione degli acidi grassi non facendoli penetrare nelle cellule adipose. Occorre quindi bersagliare quella zona che si vuol rassodare, più volte a settimana, anche con sedute di elettrostimolazione, massaggi ed esercizi mirati per amplificare i risultati e raggiungerli nel più breve tempo possibile.

 

Francesco Crisafulli,

Personal Trainer e 2 volte campione Italiano F.I.P.C.F. CONI.

Il Fegato : le funzioni

Il fegato compie importanti funzioni essenzialmente di ordine metabolico, per cui la grave compromissione dell’integrità anatomica diffusa del parenchima epatico non è compatibile con la vita.

Prendiamo in esame queste funzioni dell’epatocita. Funzione emodinamica: si identifica nella possibilità da parte del di controllare il volume e la composizione del sangue circolante.

Indipendentemente dal fatto che per la sua costituzione anatomica il fegato viene considerato come un serbatoio di sangue, in determinate circostanze esso può mettere in circolo sostanze ad azione ipotensiva o sostanze ad azione ipertensiva, queste da non identificare con l’ipertensinogeno, proteina che per azione della renina si trasforma in ipertensina. Funzione gliconeo genetica e glicogenolitica: può essere definita come funzione regolatrice delle varie fasi del metabolismo glicidico, tramite la sintesi e la scissione del glicogeno. Diversi zuccheri che arrivano nel fegato vengono utilizzati per la sintesi del glicogeno che si svolge alla presenza di numerosi enzimi, ed è influenzata dal sistema neuroendocrino. Così l’insulina ed il cortisone aumentano il contenuto di glicogeno epatico, mentre esso viene mobilizzato dall’adrenalina, tiroxina e glucagone. Il glicogeno neoformato viene immagazzinato nel fegato essenzialmente negli epatociti della zona centrolobulare. I principali enzimi che prendono parte a questi processi sono:

l’esochinasi, la fosfoglicomutasi e la fosforilasi. Il glicogeno può essere scisso rapidamente in glucosio secondo le necessità dell’organismo e questo processo si compie con la partecipazione di enzimi, quali: glucosio 6-fosfatasi, fosforilasi e fosfoglicomutasi. Ma esiste anche una funzione gliconeogenetica, che consiste nella possibilità di formazione di glucosio da sostanze diverse, come aminoacidi, glicerolo ed acido lattico. Inoltre il fegato, in determinate circostanze, può trasformare il glucosio sia in acidi grassi che in aminoacidi. Funzione lipolitica e regolatrice della lipemia: il fegato, tramite la bile, partecipa all’assorbimento dei grassi, regola la scissione degli acidi grassi, presiede alla sintesi dei fosfolipidi e del colesterolo, e alla trasformazione dei glicidi in lipidi, come è stato detto sopra; i grassi che arrivano ad esso possono venire veicolati o sotto forma di trigliceridi contenuti nei chilomicroni, attraverso il sangue portale, o sotto forma di acidi grassi non esterificati i quali si liberano dal tessuto adiposo, sotto l’influenza dell’adrenalina e noradrenalina nonché di stimoli nervosi. Gli acidi grassi liberi sono trasportati nel sangue dalle proteine sieriche e in particolare dalle albumine; nel fegato vengono metabolizzati in vario modo: a) possono venire ossidati fino ad acetato, che ingrana nel ciclo di Krebs, oppure viene condensato in acido aceto-acetico, il quale o viene ossidato in tessuti extraepatici, o viene incorporato in molecole più complesse per iniziare la sintesi del colesterolo e di acidi grassi; b) possono servire alla sintesi di lipidi complessi come trigliceridi, esteri del colesterolo e fosfolipidi. Una frazione di questi lipidi resta nel fegato ed entra a far parte delle strutture cellulari, parte passa nel sangue sotto forma di lipoproteine sintetizzate dal fegato. Le lipoproteine sono formate da una quota lipidica e da una proteica di natura globulinica. Nel fegato inoltre può avvenire la risintesi degli acidi grassi, a partire da sostanze di più basso peso molecolare, specialmente dall’acetato e dal malonato, attraverso sistemi che richiedono la presenza di coenzimi piridinici. A proposito dei fosfolipidi si ricorda che il fegato assorbe facilmente quelli che si trovano nella corrente sanguigna, ed inoltre è sede della sintesi degli stessi. Perché avvenga la formazione dei fosfolipidi, sono necessari il coenzima A, l’ATP (acido adenosin trifosforico) e la colina. Per la sintesi della colina, i gruppi metilici (CH3), sono forniti dalla metionina e dalla betaina. Funzioni sul metabolismo protidico: sintesi delle proteine, scissione degli aminoacidi, formazione dell’ammoniaca e trasformazione di questa in urea. La sintesi proteica si origina dagli aminoacidi che possono derivare dall’intestino, dalla transaminazione di chetoacidi e dalla demolizione delle proteine endogene. Tra queste proteine neoformate alcune faranno parte delle proteine proprie del fegato, nel senso che partecipano alla struttura degli epatociti; altre vengono riversate nel sangue essenzialmente sotto forma di albumine ed alfaglobuline, altre fanno parte dei fattori necessari per la coagulazione. Tra queste ricordiamo il fibrinogeno, la protrombina, il fattore V, il VII, il IX ed il X. li risaputo da tempo che per il normale svolgimento della coagulazione è necessario che il fegato abbia a sua disposizione una certa quantità di vitamina K, la quale viene assorbita dall’intestino, grazie all’intervento della bile, ma fino a poco tempo fa non era ben chiarito il meccanismo d’azione di questa vitamina. Recenti ricerche hanno portato alla determinazione che la vitamina K induce nella cellula epatica la trascrizione di un particolare RNA (acido ribonucleico) messaggero, sul quale viene codificata la sintesi della protrombina e dei fattori VII, IX e X. Ma il fegato partecipa anche al catabolismo delle proteine con liberazione degli aminoacidi, i quali vengono degradati fino alla formazione di ammoniaca. Questa che rappresenta la quota derivata dalla deaminazione delle proteine, più l’ammoniaca prodotta dalle fermentazioni provocate dalla flora batterica intestinale, viene trasformata in urea. Infatti l’ammoniaca si combina con l’ornitina e l’anidride carbonica per formare citrullina, la quale si riunisce con un’altra molecola di ammoniaca formando arginina. L’arginina, ad opera dell’arginasi (enzima che si trova nei mitocondri delle cellule epatiche), viene scissa in urea ed ornitina, mentre il ciclo si ripete continuamente. Ma ancora nel fegato alcuni aminoacidi possono essere trasformati in altri, così la fenilalanina in tirosina. Un’altra importante funzione del fegato è rappresentata dalla sintesi degli enzimi, i quali sono indispensabili per lo svolgimento di tutte quelle reazioni che avvengono nell’epatocita. Particolarmente richiamano l’attenzione le transaminasi glutammico ossalacetica e glutammico piruvica che catalizzano il trasferimento del gruppo aminico di un aminoacido ad un chetoacido; le aldolasi che sono indispensabili per la scissione dell’1-6 fosfofruttosio in due molecole di triosofosfato (tappa intermedia del metabolismo degli zuccheri); 1 ‘ornitin-carbamil-transferasi che catalizza la reazione reversibile ornitina-citrullina; la fosfatasi alcalina, che trasforma l’acido fosforico legato ai composti organici in fosfati inorganici; la glucosio 6 fosfatasi che scinde il glucosio 6 fosfato in glucosio e fosfato, la lattico-deidrogenasi che trasforma l’acido lattico in acido piruvico; la xantinossidasi che ossida la xantina trasformandola in acido urico; la colinesterasi che idrolizza gli esteri della colina. La funzione che riguarda il metabolismo degli ormoni consiste nella degradazione a livello epatico di diversi ormoni. I corticoidi vengono in parte ridotti, con formazione di metaboliti inattivi con 21 atomi di carbonio, in parte vengono ossidati con formazione di metaboliti a numero inferiore di atomi di carbonio. Gli androgeni, in seguito a processi di ossidazione e riduzione, vengono trasformati in metaboliti sempre meno attivi; analogamente vengono inattivati gli estrogeni, il progesterone e gli ormoni tiroidei; tutti questi poi vengono coniugati in parte con l’acido glicuronico in parte con l’acido solforico e sucessivamente eliminati. La funzione disintossicante e di escrezione si esplica essenzialmente con la coniugazione di sostanze tossiche con acido glicuronico e l’eliminazione per via biliare. La coniugazione può avvenire anche con il solfato attivo, con la glicina, con la cisteina e con la glutamina. Il fegato inoltre rappresenta un importante organo di deposito di molte vitamine. A parte la sopra menzionata vitamina K. nel tessuto epatico si riscontrano:

la vitamina A, la D, la B12, la biotina, l’acido pantotenico, la piridossina, la tiamina che viene trasformata per un processo di fosforilazione in cocarbossilasi e l’acido folico che si riscontra nella sua forma attiva, e cioè come acido tetraidrofolico. Il fegato inoltre rappresenta l’organo di deposito per eccellenza del ferro, il quale non si trova libero dentro le cellule, ma legato a proteine sotto forma di ferritina e di emosiderina. Il distacco del ferro dalle proteine avviene quando viene ridotto allo stato ferroso, trasformazione che si realizza ad opera della xantino-ossidasi.

 

Nell’immagine è descritta l’ematopoiesi, una delle tante funzioni del fegato.

 

VEDI ANCHE:
Il fegato: costituzione anatomica
Il fegato: la bile
Il fegato: esplorazione funzionale
Il fegato: fenomeni degenerativi

 

Un rigraziamento speciale
all’ autore e redattore dell’ articolo: Enrico De Stefani

Il Fegato : costituzione anatomica.

Grossa ghiandola, indispensabile per la vita dell’organismo, dotata di numerose attività essenzialmente collegate con il metabolismo intermedio. E’ situato al di sotto del diaframma ed occupa la parte più alta della cavità addominale, portandosi da destra verso sinistra raggiungendo il margine cartilagineo della VII e VIII costola.

Ha la forma di un segmento superiore di ovoide, colorito rosso bruno; è friabile e si lacera con molta facilità.

Nel soggetto adulto il fegato ha un peso che oscilla tra i 1400 e i 1500 g; in esso si distinguono tre facce: una superiore o diaframmatica, una inferiore o viscerale ed una posteriore.

La faccia superiore convessa si trova immediatamente al di sotto del diaframma, ed il legamento falciforme la divide in due parti: il lobo destro ed il lobo sinistro. La faccia viscerale o inferiore è piana ed è divisa da tre solchi che, per la loro disposizione, assumono la forma di una H, essendo situati due sagittalmente ed uno trasversalmente. Nella parte anteriore del solco destro si trova la vescichetta biliare, mentre nella parte anteriore di quello sinistro è situato il legamento rotondo, residuo della vena ombelicale. Il solco trasverso è determinato dall’ilo del fegato, da dove escono ed entrano tutti i vasi eccetto le vene epatiche. Penetrano attraverso l’ilo, la vena porta e l’arteria epatica mentre ne esce il dotto epatico. I solchi sopra riferiti dividono la superficie inferiore dell’organo in quattro lobi:

il lobo destro o quadrilatero, il lobo sinistro o triangolare, il lobo quadrato situato in avanti all’ilo ed il lobo caudato che si trova dietro all’ilo. Il lobo caudato presenta anteriormente una piccola sporgenza arrotondata che costituisce il processo papillare, mentre l’estremità posteriore termina con il prolungamento conosciuto sotto il termine di processo caudato. La faccia posteriore è concava e si assottiglia alle estremità. Due solchi, uno determinato dalla vena cava, l’altro dal legamento venoso, delimitano tre zone: destra, media e sinistra. Le tre facce del fegato sopra ricordate sono separate da tre margini: anteriore, superiore ed inferiore. Il margine anteriore è sottile e tagliente, diretto obliquamente dal basso verso l’alto e da destra a sinistra. Questo margine abitualmente si trova al di sotto della VII ed VIII costa sinistra e presenta due profonde incisure che corrispondono all’estremità anteriore dei solchi longitudinali che si trovano nella faccia viscerale. Il margine superiore ha forma arrotondata e divide la faccia diaframmatica dalla faccia posteriore; il margine inferiore presenta un’ incisura determinata dal legamento rotondo e raggiunge il margine inferiore della X, XI e XII costola. La sua superficie esterna è rivestita per la maggior parte dal peritoneo, il quale forma anche dei legamenti che uniscono il fegato alla parete addominale ed ai visceri vicini. Tra questi legamenti ricordiamo il legamento falciforme che fissa il fegato al diaframma, ed il legamento coronario che anche questo fissa in modo energico il margine posteriore del fegato al diaframma. Come è stato detto, la superficie epatica è rivestita in gran parte dal peritoneo, ma il fegato possiede un involucro proprio costituito dalla capsula di Glisson che riveste tutto l’organo senza alcuna interruzione e, in prossimità dell’ilo, avvolge l’arteria epatica, la vena porta ed il dotto epatico nonché i nervi e li accompagna fino alle loro ultime diramazioni. La vascolarizzazione del fegato è notevolmente abbondante e nello stesso tempo del tutto particolare, in quanto vi sono due importanti vasi afferenti: la vena porta e l’arteria epatica. La vena porta che convoglia tutto il sangue proveniente dall’intestino, arrivata all’ilo, si divide in due rami i quali arrivati nello spessore del fegato si ramificano come se fossero dei rami arteriosi, pervengono negli spazi interlobulari, prendendo questo nome ed emettono 5-6 venule che penetrano nei lobuli vicini. L’arteria epatica nasce dal tronco celiaco e giunta in prossimità dell’ilo si divide in due rami che a loro volta forniscono rami per i condotti biliari, rami vascolari, rami capsulari e rami interlobulari. Le vie efferenti sono rappresentate dalle vene epatiche che originano dalle vene sottolobulari che confluiscono tra di loro formando dei tronchi sempre maggiori i quali si dirigono verso il margine posteriore del fegato per sboccare nella vena cava per mezzo di due tronchi: la vena epatica destra e la vena epatica sinistra. Come è stato detto, le più fini diramazioni della vena porta decorrono negli spazi interlobulari, dove prendono il nome di vene interlobulari, e da qui emettono ramuscoli che penetrano nei lobuli dove assumono le caratteristiche dei sinusoidi, particolari capillari privi di tonaca media ed avventizia, la cui parete è formata da cellule endoteliali prive di membrana basale e da cellule stellate di Kupffer, le quali sono dotate di attività istiocitaria. E’ evidente che il lobulo epatico, unità anatomofunzionale del fegato, viene ad essere delimitato essenzialmente dai rami capillari della vena porta. I sinusoidi convergono al centro da dove ha origine la vena centrolobulare, che percorre tutto l’asse del lobulo per sboccare nella vena sottolobulare, dalla cui confluenza nascono le vene epatiche. E’ dubbio se anche l’arteria epatica partecipi alla formazione dei sinusoidi, anzi Bloom e Fawcett, in seguito ad osservazioni al microscopio elettronico, l’escluderebbero in modo categorico, mentre sarebbe stata dimostrata la presenza di anastomosi tra rami della vena porta e rami dell’arteria epatica. Le cellule epatiche hanno una forma poliedrica e sono disposte in lamine, le quali sono costituite da un solo strato di elementi cellulari. Le cellule epatiche, per mezzo delle loro facce, sono in connessione tra di loro, con i sinusoidi e costituiscono la parete iniziale dei capillari biliari. La membrana cellulare in vicinanza del capillare biliare è ispessita e la parte che forma la parete del capillare presenta dei microvilli. Tra la faccia cellulare ed il capillare sanguigno, esiste un piccolissimo spazio detto spazio di Disse, entro il quale si proiettano delle estroflessioni della membrana cellulare che anche qui formano dei microvilli, e la ricordata assenza di membrana basale tra cellule epatiche e sinusoidi sta ad indicare la facilità degli scambi che avvengono a questo livello. Inoltre tra cellula e cellula tra gli spazi di Disse, intorno alle radici dei canalicoli biliari, circola la linfa, che raggiunge in fine una lacuna (spazio di Molì), situata tra la lamina limitante e gli spazi portali. I canalicoli biliari, come sopra detto, si originano in prossimità delle cellule epatiche, non hanno una membrana propria, e tendono a confluire nella zona di passaggio, dove cominciano ad acquistare le cellule proprie. Da qui si dirigono al limite fra lobulo e spazio portale, per diventare canali biliari interlobulari. Questi confluiscono in corrispondenza degli spazi portali più ampi, formando dei canali di maggior diametro che in definitiva costituiscono, a livello dell’ilo, il dotto epatico destro e sinistro. La riunione di questi due condotti dà origine al dotto epatico comune, il quale ha una lunghezza di circa 3 cm e, dopo essersi unito con il dotto cistico, forma il dotto coledoco. Il dotto cistico si estende dalla cistifellea e termina ad angolo acuto nell’estremità inferiore del dotto epatico. La cistifellea è un serbatoio muscolomembranoso, posta sulla faccia inferiore del fegato, ha forma di pera e viene suddivisa in tre porzioni: una porzione inferiore o fondo, una media o corpo, una superiore o collo che descrive due curve ad S italica e dopo un piccolo rigonfiamento, bacinetto della cistifellea, si continua con il dotto cistico. La cistifellea è formata da tre tonache: una tonaca mucosa, costituita da epitelio cilindrico ricco di ghiandole; una tonaca fibromuscolare, formata da fibrocellule muscolari mescolate a fasci di fibre connettivali; una tonaca sierosa, che è una dipendenza del peritoneo epatico. Il contenuto medio della colecisti si aggira tra 50 e 60 cc di bile. Dalla riunione del dotto cistico con il dotto epatico, si origina il dotto coledoco che si dirige in basso e, dopo aver percorso la faccia posteriore della testa del pancreas, in cui scava un solco, perfora la seconda parte del duodeno per sboccare nell’ampolla epatopancreatica di Vater. Immediatamente prima di sboccare nell’ampolla, le fibre muscolari trasversali del coledoco si ispessiscono formando una specie di anello che costituisce lo sfintere di Oddi.

 

 

VEDI ANCHE:
Il fegato: le funzioni
Il fegato: la bile
Il fegato: esplorazione funzionale
Il fegato: fenomeni degenerativi

 

Un rigraziamento speciale
all’ autore e redattore dell’ articolo: Enrico De Stefani

RIMINIWELLNESS (14-17 maggio 2009)

Giunta alla sua 4° edizione, RIMINIWELLNESS è la grande manifestazione fieristica organizzata all’insegna dello sport e del benessere.

Traendo le sue origini dalla parola Wellness, questo evento fieristico si differenza da tutti gli altri legati all’ambito sportivo proprio perché non si occupa solo dell’attività fisica in sè,

ma di tutto ciò che significa benessere, ossia uno stile di vita salutare che racchiude una corretta alimentazione, una adeguata attività fisica ed un interesse particolare per tutte le forme di relax fisico e mentale, creando cosi armonia ed equilibro tra psiche e corpo.

RIMINIWELLNESS interpreta il fitness in due format:

il format dell’operatore specializzato. Esso occupa un settore è molto vasto poiché si concentra non solo sul fitness, sull’abbigliamento e sull’attrezzo sportivo, ma anche sull’estetica, sulla nutrizione, la moda, la cultura, il turismo ed il design, tutti legati al concetto di wellness.

Il format del consumatore finale che, grazie agli operatori specializzati, potrà scoprire ed usufruire di tutto quelle che esiste e che è legato al concetto di wellness oggi.

A chi è rivolta la manifestazione?

A tutti coloro che ritengono importante la salute del corpo e, considerato che in Italia i frequentatori di palestre e gli appassionati di sport superano i 4.000.000 di individui con età variabili dai 20 ai 50 anni e anche oltre, riteniamo notevole una manifestazione con tali argomentazioni.

Innovativa la formula

RIMINIWELLNESS si suddivide, infatti, in due macroaree:

WFUN, la kermesse dedicata agli eventi e agli spettacoli per il grande pubblico.

WPRO, riservata alle tematiche espositive, business to business. Particolare attenzione sarà dedicata alla parte scientifica ed ai convegni.

I temi trattati copriranno l’intera gamma de saperi legata al settore: dal Marketing Management alla Comunicazione, dalla Salute alla Formazione tecnica per trainer/istruttori, oltre alle Convention delle più importanti Associazioni e Federazioni.

Il grande livello organizzativo di RIMINIWELLNESS ha predisposto ed ottimizzato ogni risorsa proprio per accogliere, nel miglior modo possibile, la grande affluenza che ci sarà.

In quest’ ottica è stata organizzata un’ ampia e variegata ricettività alberghiera con tariffe da sempre altamente concorrenziali, alle quali si aggiunge il fiorire di innumerevoli iniziative di svago “dopofiera” legate all’inizio della stagione estiva.

E per chi viaggia in treno notevoli vantaggi.

Grazie ad un accordo tra RiminiFiera e Trenitalia – Gruppo Ferrovie dello Stato sarà possibile visitare RIMINIWELLNESS ad un prezzo scontato.

Infatti presentando il biglietto del treno utilizzato con destinazione Rimini o RiminiFiera sarà possibile acquistare l’abbonamento di ingresso 4 giorni a RIMINIWELLNESS con il 50% di sconto (a 12 euro anziché 24).

Orari di apertura
giovedì 14 e venerdì 15: operatori dalle 9.00 alle 19.00, pubblico dalle 11.00 alle 19.00
sabato 16 e domenica 17: operatori e pubblico dalle 9.00 alle 19.00

Ingresso operatori e grande pubblico

ingresso SUD.

Costo ingresso peratori e grande pubblico

Abbonamento intero: 24 € (valido 4 giorni)
Abbonamento ridotto: 16 € (valido 4 giorni)
Giornaliero intero: 16 €

Abbonamento ridotto a 16€
Disponibile presso palestre, centri fitness, centri benessere.

Abbonamento ridotto a 12 €
Disponibile online e anche presso le casse di RiminiFiera e per chi si pre-registrerà sulla homepage del sito: www.riminiwellness.com

Settore

Fitness, Area Nutrizionale, Salute, Estetica, Abbigliamento e Attrezzo Sportivo.

Sito ufficiale

www.riminiwellness.com

Indirizzo

Nuovo Quartiere Fieristico Via Emilia 155, 47900 Rimini

Per informazioni: Tel. 0541/744.111 Fax. 0541/744.200 info@riminifiera.it

La Cellulite

Il termine “cellulite” rappresenta una parola che non dovrebbe più essere utilizzata nel campo medico, infatti etimologicamente indica un’infiammazione acuta di cellule non ben precisate.

I mass media hanno, però, da anni utilizzato questo termine che, oggi, è divenuto di accezione comune per indicare una situazione inestetica del corpo femminile. Da ciò non ci resta che accettarlo e vedere cosa esattamente viene indicato con lo stesso.

Con il termine improprio di “cellulite” vengono oggi comprese delle situazioni inestetiche che, pur presentando in comune un aumento volumetrico a livello della faccia supero-esterna della coscia, riconoscono eziologie diverse e richiedono, perciò’ dei trattamenti correttivi o terapeutici diversi.
Queste particolari salienze del corpo femminile hanno rappresentato, nel mondo occidentale, per vari secoli uno dei canoni estetici della bellezza femminile. Pittori e scultori dall’antica Grecia allo scorso secolo hanno rappresentato la bellezza femminile arricchita dalla così detta “cellulite”.
Ma dai tempi di Afrodite i canoni della bellezza femminile sono cambiati e nell’epoca moderna, dove la cultura anglosassone ha preso il sopravvento su quella mediterranea, i canoni della bellezza sono cambiati ed oggi il concetto di bello è rappresentato dal corpo androide delle top model californiane o australiane causando afflizione nelle donne occidentali a struttura mediterranea.
Oggi tre donne su quattro lamentano gli emblematici cuscinetti delle Tre Grazie del Rubens.

– I Quadri Clinici

– La Valutazione

– Trattamento dei Quadri Clinici

– Metodiche di Trattamento

– Classificazione della Cellulite

La cellulite: i quadri clinici
Con il termine improprio di “cellulite” vengono oggi comprese delle situazioni inestetiche che, pur presentando in comune un aumento volumetrico a livello della faccia supero-esterna della coscia, riconoscono eziologie diverse e richiedono, perciò’ dei trattamenti correttivi o terapeutici diversi.
E’ quindi fondamentale un corretto inquadramento clinico – strumentale prima di procedere in trattamenti medici, chirurgici o fisioterapici.
L’inestetismo su esposto può’ essere attribuito a tre diverse condizioni:

1) Disarmonie della Silhouette
Questa condizione, ereditaria e supportata da una particolare struttura ossea del bacino, non esprime uno stato patologico ma determina soltanto una disarmonia della figura non accettata dai canoni estetici della moda di oggi.
Si ha un divario più o meno importante tra il diametro bitrocanterico e quello biomerale. L’eccesso volumetrico della faccia supero-esterna della coscia è sostenuta dal grande trocantere del femore: è quindi impossibile ridurre questo inestetismo localmente.

2) Eccesso Di Adiposità Localizzata
Alcune volumetrie del tessuto adiposo condizionate dall’azione degli ormoni estrogeni, entro certi limiti, debbono essere considerate come una presenza normale. Infatti, esse svolgono un ruolo estetico nel corpo femminile mascherando le salienze ossee e le sporgenze muscolari. Un trattamento delle adiposità’ localizzate e’ richiesto solo in caso di notevole eccedenza.
Le zone di adiposità localizzata nel distretto inferiore del corpo femminile sono individuabili a livello dei glutei, dell’addome, dei fianchi, della faccia supero esterna della coscia e al ginocchio, medialmente.
L’adiposità localizzata in eccesso può essere costituita da numerose cellule di dimensioni normali (iperplasia), da un numero normale di cellule di grandi dimensioni (ipertrofia), da un misto delle due situazioni. Il trattamento lipolitico potrà dare risultati soprattutto sulle adiposità localizzate che dal punto di vista istomorfologico presentano una situazione ipertrofica: è utile anche nel trattamento iniziale delle forme miste e questo per la particolare tendenza che ha l’adiposità a mantenere costante il proprio volume.

3) Panniculopatia Edemato-Fibro-Sclerotica
Un’affezione degenerativa a carattere evolutivo del tessuto sottocutaneo dovuta ad alterazioni del microcircolo (Cellulite e Microcircolo).
Si sviluppa su un substrato costituzionale legato a tutta una serie di fattori predisponenti e scatenanti.

Fattori Predisponenti

– la razza occidentale
La meiopragia costituzionale delle pareti vasali e la cellulite sono caratteristiche evidenti nelle donne occidentali: le donne asiatiche o quelle di colore non presentano questi problemi.

– l’ereditarietà
Esiste una meiopragia costituzionale delle pareti vasali ereditata geneticamente e che viene trasmessa dagli ascendenti ai discendenti.

– la scarsa componente muscolare
La ridotta quantità di muscolatura è un aspetto che caratterizza il sesso femminile e si può tradurre, a livello delle gambe, in una insufficienza della pompa muscolare con conseguente compromissione della vis a tergo.

Fattori Scatenanti

– i difetti posturali e i difetti nell’appoggio plantare
Alterazioni posturali determinano iperappoggio su di un arto con relativa contrattura spastica della muscolatura responsabile di un’alterazione funzionale della circolazione venolinfatica e quindi di un fenomeno di stasi. Ugualmente un appoggio plantare non corretto (cavismo, piattismo) determina nella fase dinamica del movimento una irregolare spremitura della suola venosa del Lejard e conseguente disfunzione del circolo veno-linfatico di ritorno.

– la stazione eretta prolungata
Nel caso di una stazione eretta prolungata si comprende il fattore gravitazionale nella induzione di una insufficienza venolinfatica, l’insufficienza della pompa muscolare della gamba, l’insufficiente spremitura della suola venosa del Lejard.

– le cattive abitudini
Gambe vicino a fonti di calore ( radiatori, fuoco ), gambe flesse per diverse ore, uso di calzature non idonee ( es. calzare di frequente scarpe con i tacchi alti causa di cavismo o scarpe da tennis causa di piattismo ), abbigliamento non idoneo ( es. jeans troppo aderenti o indumenti analoghi che costringono impedendo il ritorno venoso ), fare il bagno in vasca con acqua calda superiore ai 30° (è da preferire la doccia), esporsi al sole e coprire le gambe con un asciugamano bagnato ( si crea un effetto serra più dannoso di una esposizione diretta al sole ).

– la dieta ipoproteica, ipovitaminica e povera di fibre
La povertà in fibre si traduce in un ristagno del materiale fecale con dilatazione dell’ampolla rettale e fenomeni di compressione sulle vene iliache e quindi ostacolo al deflusso venoso dell’arto inferiore. Per il metabolismo delle pareti vascolari sono ormai note le funzioni ottimizzanti delle vitamine A, E, C. Una dieta povera in proteine si tradurrà in un situazione deficitaria del corredo miocontrattile delle fibrocellule muscolari lisce delle pareti venose e dei vari enzimi preposti al metabolismo energetico.

– l’impiego di anticoncezionali
L’assunzione di anticoncezionali ormonali in donne con Insufficienza Venosa Cronica (IVC) va valutata attentamente consigliando l’opportunità di altri metodi di contraccezione. I progestinici quando associati agli estrogeni ne esaltano l’azione favorente la ritenzione idrica forse attraverso un incremento dell’aldosterone.
Le minipillole attualmente in commercio per le donne affette da insufficienza venosa cronica forse rappresentano un rischio minore che non una gravidanza.

– la vita sedentaria
L’esercizio fisico,attraverso l’azione della cosiddetta “pompa muscolare” ( contrazione dei muscoli e movimenti del diaframma), ha importanti significati per il normale flusso venoso.

– la gravidanza
Il progesterone prodotto dal corpo luteo e dalla placenta riduce l’eccitabilità della muscolatura liscia.
La relaxina prodotta dal corpo luteo esplica rilassamento della sinfisi pubica e un’azione miolitica sistemica ( potenzia l’azione del progesterone).
Gli estrogeni causano un aumento della ritenzione idrica (edema) per aumentata permeabilità capillare.
Le dimensioni dell’utero gravidico, che dopo il 6° mese comprimono il sistema cavale inferiore , la riduzione della vis a fronte per ridotta espansibilità delle escursioni diaframmatiche con il pacchetto intestinale che di conseguenza comprime le vene iliache peggiorano la situazione.

– l’obesità

1) per riduzione della vis a fronte (viene ostacolata l’escursione diaframmatica e l’espansibilità toracica);

2) riduzione della vis a tergo;
Un deficit di effetto insulinico può essere conseguente alla insulino-resistenza, ad un deficit di vitamina B1, alla comparsa di autoanticorpi anti-insulina, anti-recettore, anticellule b, a turbe neurormonali come un aumento di somatostatina che è un inibitore multifunzionale che esplica la sua azioni anche nei confronti dell’insulina o meglio delle cellule b delle insule pancreatiche di Langherans, all’impiego di ormoni e farmaci diabetogeni, alla gravidanza. Un deficit di effetto insulinico si tradurrà in un deficit bioenergetico per difettosa utilizzazione della principale molecola utilizzabile dall’organismo per scopi energetici: il glucosio. La naturale espressività clinica di un deficit bioenergetico è l’astenia con conseguente ridotta attivazione della pompa muscolare e ridotta spremitura della suola venosa del Lejard.

3) aromatizzazione degli androgeni operata dal tessuto adiposo. L’iperestrogenismo favorisce il passaggio degli elettroliti e dell’acqua negli spazi interstiziali stimolando la secrezione di aldosterone e adiuretina.

La cellulite: la valutazione
Sul piano operativo la visita medica verterà su:

Esame Anamnestico

1) La presenza di una familiarità per malattie flebolinfologiche.
Nell’anamnesi familiare sarà ancora importante ricercare la presenza di un habitus ginoide accentuato negli ascendenti o collaterali.

2) L’anamnesi fisiologica che dovrà essere particolarmente accurata perché in essa si potranno riscontrare gli errori comportamentali e di igiene di vita alla base di un’eventuale alterazione venolinfatica degli arti inferiori.
Si evidenzierà in particolare:
– l’alimentazione ed in particolare l’eventuale eccesso di assunzione di zuccheri e sali, sostanze ad attività igroscopica che peggiorano la ritenzione idrica tessutale;
– l’attività motoria degli arti inferiori,fondamentale per una corretta circolazione venolinfatica che progredisce in senso centripeto principalmente per l’azione di contrazione ritmica dei muscoli;
– la regolarità dell’alvo, perché il ristagno fecale determina compressione delle iliache e stasi venosa;
– la presenza di iperestrogenismi assoluti, relativi o iatrogeni: gli estrogeni attivano a livello periferico le chinine vasoattive determinando vasodilatazione e aumento di permeabilità capillare.

Esame Obbiettivo

Ispezione
Con l’Ispezione si valuterà le zone di incremento volumetrico, l’aspetto e il colorito della cute, l’eventuale presenza di segni di insufficienza flebo-linfatica (varici,teleangiectasie,edemi).

Palpazione
La palpazione ci fornirà indicazioni riguardo il grado di pastosità, elasticità e plicabilità della cute.

Esami Strumentali

Valutazione antropometrica
Verrà calcolato l’habitus, il peso ideale soggettivo, la massa adiposa, il body mass index e il total body water mediante misurazioni classiche, plicometria ed impedenziometria. L’elaborazione dei dati ottenuti ci permetterà di valutare gli eventuali eccessi ponderali assoluti, gli eccessi adiposi, le carenze muscolari, gli assetti ossei e gli incrementi di massa acquosa.

Valutazione posturale
Con il risultato dato dalla osservazione diretta e dal plantoscopio si valuterà lo stato posturale del soggetto. Situazioni di alterazione dell’ortostatica determinano iperappoggio su di un’ arto con contrattura spastica della muscolatura dello stesso, a questo consegue una non corretta stimolazione della circolazione venolinfatica e, conseguentemente, stasi.
Ugualmente un appoggio plantare non corretto determinerà nella fase dinamica del movimento una irregolare spremitura della “suola venosa del Leyar”, il cuore del sistema venoso, e alterazione del circolo venolinfatico.

Valutazione flebolinfologica
Prevederà una semeiotica manuale ed una strumentale. La prima valuterà la situazione cutanea (discromie, distermie, teleangectasie, ecc.), la dolorabilità sia alla pressione delle interruzioni di fascia a livello della faccia interna della gamba, segno di stasi venosa, che al pinzettamento dei tessuti, segno di compressione delle terminazioni nervose per edema. La semeiotica strumentale prevede l’uso della ultrasonografia doppler per valutare la continenza del circolo venoso superficiale e profondo e un esame ecografico del tessuto adiposo.

Ecografia del tessuto adiposo
Per lo studio ecografico del tessuto adiposo si utilizzano apparecchi muniti di sonda lineare da 7,5 Mhz con interposizione di un distanziatore sintetico di superficie.
Sonde lineari di minore frequenza ( 5 MHz ) presentano una minore risoluzione e l’ecogramma ha echi più grossolani.
Si eseguono scansioni assiali e longitudinali con relative misurazioni in ogni distretto.
Le regioni esaminate comparativamente sono:

– la trocanterica
– la sottotrocanterica
– la sovracondiloidea mediale
– l’interna del ginocchio
– la premalleolare interna
– la premalleolare esterna

Le misurazioni devono includere lo spessore del derma compreso tra la linea iperecogena dell’epidermide e quella profonda del derma e lo spessore del tessuto adiposo compreso tra la linea iperecogena del derma e la fascia iperecogena del perimisio.
Con l’Ecografia del tessuto adiposo possiamo non soltanto differenziare una adiposità localizzata da una panniculosi ma persino valutare lo stadio di quest’ultima. Ciò ci permette di scegliere correttamente il tipo di intervento terapeutico e, soprattutto, di fare una prognosi sul possibile risultato.

Doppler del tessuto adiposo
In Medicina Estetica si realizza uno studio doppler flussimetrico del sistema venoso degli arti inferiori . Esso ha lo scopo di stabilire:

– la pervietà del sistema venoso profondo
– la continenza valvolare safenica
– la localizzazione delle vene perforanti sede di refflussi

Si utilizzano ultrasuoni con frequenze variabili da 2 a 10 MHz. Le più usate sono quelle di 4 e 8 MHz.
Un funzionamento a bassa frequenza (4 MHz) fornisce una migliore penetrazione nei tessuti ed è adatta all’esplorazione di strutture profonde (sistema venoso profondo), un funzionamento ad alta frequenza (8 MHz) offre una penetrazione più superficiale (sistema venoso superficiale) per un maggiore assorbimento dell’onda da parte dei tessuti.
Dal punto di vista auscultatorio quello venoso è un flusso fasico, a soffio di vento, variabile di intensità con gli atti respiratori e con la posizione.

Studio del Sistema Venoso
Gli assi venosi vengono studiati ponendo la sonda sul loro decorso e constatando la fasicità del flusso in rapporto alla respirazione.
Nell’arto inferiore possiamo esplorare per il circolo profondo la vena iliaca comune e l’esterna, le femorali comune ed superficiale, la vena poplitea, la vena tibiale posteriore.
Per il circolo superficiale esploreremo la grande e piccola safena, le vene collaterali e le perforanti.
Nello studio delle patologie venose degli arti inferiori il Doppler ci fornisce informazioni sulla pervietà della vena e sulla continenza valvolare dei tre sistemi degli arti inferiori: superficiale, profondo, comunicante.
La pervietà degli assi venosi profondi viene studiata ponendo la sonda sul loro decorso e constatando la fasicità del flusso in rapporto alla respirazione e la trasmissibilità di impulsi impressi con la compressione manuale delle masse muscolari a monte.
La continenza valvolare viene saggiata grazie a manovre di compressione-decompressione effettuate sulle masse muscolari a valle della sonda, o alla manovra di Valsalva (inspirazione profonda seguita da espirazione forzata a bocca e naso chiusi) con sonda sempre posizionata sulla vena da esplorare.
Per studiare la continenza valvolare ostiale della grande safena si pone la sonda esploratrice (capsula piezoelettrica) in corrispondenza della crosse safeno-femorale (punto di incontro del circolo venoso profondo e del circolo venoso superficiale) al triangolo dello Scarpa. Si localizza prima l’arteria satellite (sono udibili degli schiocchi sincroni all’attività pulsatile dell’arteria) e poi la vena. Il paziente è in ortostatismo e lo si invita a tossire o ad eseguire una manovra di Valsalva. Acusticamente si percepirà un rumore di reflusso più o meno intenso se la valvola è incontinente. In caso di continenza valvolare si avrà un arresto del flusso .Per studiare la giunzione safeno poplitea si dispone la sonda nel cavo popliteo. Si provoca un aumento della pressione venosa a monte mediante compressioni manuali osservando la competenza valvolare nel caso si arresti il flusso o al contrario il cedimento della valvola stessa in caso si abbia reflusso al termine della manovra. Di notevole interesse pratico è la ricerca delle comunicanti insufficienti. Per localizzarle si usa il metodo di Pratt dei due lacci con i quali si delinea progressivamente l’area in esame mentre la sonda raccoglie i segnali di reflusso della vena comunicante insufficiente provocati da compressioni manuali dell’arto a monte e a valle dei lacci. La tensione dei lacci dev’essere tale da bloccare solo il deflusso superficiale. Il paziente è in decubito supino.
Si sposta la sonda nel tratto in esame esercitando contemporaneamente una compressione a valle e a monte del segmento compreso tra i lacci emostatici laddove esiste una comunicante incontinente si avrà un suono bifasico.
Lo studio Doppler del sistema venoso viene sempre completato dal rilievo delle pressioni venose in clinostatismo e ortostatismo del circolo profondo e superficiale degli arti inferiori.
Si pone il manicotto di uno sfigmomanometro al di sopra del malleolo interno dell’arto da studiare e si ricerca la vena (safena interna e/o tibiale posteriore) con la sonda Doppler distalmente a dove è stato disposto il manicotto.
Si gonfia il manicotto ad una pressione tale da provocare l’occlusione venosa, quindi gradualmente si sgonfia il manicotto è si considera significativo il valore in cui riprende il flusso venoso (rumore a colpo di vento). Tale manovra va ripetuta 2-3 volte al fine di ottenere un valore affidabile e preciso. In condizioni normali la pressione venosa in clinostatismo varia da 10 a 25 mm Hg sia alla vena tibiale posteriore che nella vena grande safena. In ortostatismo si registrano pressioni di 40-60 mm Hg sia nel sistema venoso profondo che in quello superficiale (negli arti inferiori).

La cellulite: trattamento dei quadri clinici
Lo schema operativo che proponiamo è basato su un principio didattico, infatti molto spesso i quadri clinici non si presentano da soli ma sovrapposti gli uni agli altri.
In caso di sovrapposizione dovremo sempre iniziare il nostro trattamento curando l’unica vera patologia, la PEFS, e pianificando un giusto programma preventivo.

Solo dopo passeremo al trattamento di correzione delle altre situazioni inestetiche.

DISARMONIE DELLA SILHOUETTE
Questa situazione corrisponde, di solito, a:
– peso ideale soggettivo normale
– divario più o meno importante tra il diametro bitrocanterico e il biomerale
– normalità degli esami strumentali eseguiti

Trattamento
Su queste basi, l’intervento si dovrà limitare ad una riarmonizzazione della figura della paziente attraverso lo sviluppo del torace e la stimolazione della muscolatura del cingolo scapolare.
Infatti, questa situazione e’ supportata da un particolare assetto scheletrico di bacino e l’eccesso volumetrico della faccia supero-esterna della coscia e’ sostenuta dalla testa del grande trocantere del femore: e’ quindi impossibile ridurre questo inestetismo localmente. La riarmonizzazione deve, quindi, prevedere una integrazione delle volumetrie della porzione superiore del corpo ottenibile con l’aumento volumetrico del torace e l’eventuale ipertrofizzazione dei capi muscolari del cingolo scapolo-omerale.
L’aumento del volume della cassa toracica si ottiene con un’opportuna ginnastica aerobica (nuoto, corsa, etc.). L’ipertrofizzazione può essere ottenuta sia con body-building attivo sia con elettrostimolazione muscolare che, a fini ipertrofizzanti, prevede tempi di contrazione superiori agli otto secondi.
E’ preferibile trattare i muscoli da ipertrofizzare con questa particolare elettrostimolazione e ciò perché l’ipertrofia del muscolo non e’ un processo fisiologico, infatti l’incremento volumetrico e’ dovuto non solo alle fibrocellule muscolari ma anche all’ipertrofia connettivale. Meglio, perciò, stimolare solo i capi muscolari che a noi interessano senza coinvolgere i muscoli accessori come avviene nel movimento attivo.
Un’altra situazione che può sempre rientrare tra le disarmonie della silouette è quella che consegue alla ipotrofia del muscolo gluteo. In questo caso la diminuzione del volume muscolare determina caduta del gluteo per gravita’ e conseguente compressione dei tessuti della porzione posteriore della coscia con fuoriuscita laterale di un eccesso volumetrico di tessuto a livello della faccia supero-esterna della coscia.
Sempre all’ipotrofia del muscolo gluteo va attribuita la comparsa di buchetti sulla cute in posizione ortostatica. Questa situazione non va confusa con la cute a materasso caratteristica dell’ultimo stadio della PEFS e determinata dallo stiramento dei tralci fibrosi neoformati, inestetismo permanente sia in orto che in clinostatismo.
In caso di ipotrofia muscolare i tessuti soprafasciali tendono a cadere per gravità e stirando i filamenti connettivali che normalmente li tengono adesi alla fascia muscolare determinano l’inestetismo.
Anche in questo caso la riarmonizzazione prevederà una ricostruzione del muscolo gluteo con body-building attivo o, meglio, con elettrostimolazione ipertrofizzante.
Fondamentale è ricordare alla paziente la necessità di un giusto apporto di proteine necessarie alla costruzione del muscolo e di una supplementazione argininica che stimolando la formazione del GH incrementa la massa muscolare a discapito di quella adiposa.

ECCESSO DI ADIPOSITA’ LOCALIZZATA
In questa situazione clinica rileveremo:

– peso soggettivo normale o aumentato
– normale rapporto tra diametro biomerale e bitrocanterico
– normalita’ degli esami strumentali eseguiti fatta eccezione per un accentuato “effetto bordo” (aumento di spessore) all’esame ecografico

Trattamento
L’intervento si occuperà, in questo caso, della riduzione ponderale, se necessaria, mediante trattamento dietetico equilibrato ipocalorico e della riduzione dell’adiposità localizzata con mezzi farmacologici, fisioterapici e/o chirurgici.
Il trattamento riduttivo degli eccessi volumetrici localizzati del tessuto adiposo deve prevedere un’azione locale e questo perché eventuali stimoli alla lipolisi effettuati con trattamenti generalizzati (ad esempio una dieta ipocalorica) porteranno a perdita di grasso dai distretti a metabolismo normale, accentuando ulteriormente la disarmonia locale. Si osserverà, cioè, perdita di tessuto adiposo a livello del seno e del viso della nostra paziente mentre le zone di adiposità localizzata resteranno quasi inalterate.
Il trattamento locale delle adiposità localizzate prevede interventi lipolitici e interventi lipoclasici.

Interventi Lipolitici
Sono da preferire rispetto agli interventi lipoclasici perché non determinano danni tessutali, ma spesso sono insufficienti come risposta per le particolarità strutturali del tessuto adiposo. Infatti l’adiposità localizzata in eccesso può presentarsi tale o perché costituita da numerose cellule di dimensioni normali, o perché costituita da un numero di cellule normali ma di grandi dimensioni o, ancora, da un misto delle due situazioni.
Il trattamento lipolitico potrà dare risultati solo sulle adiposità ipertrofiche o sul trattamento iniziale di quelle miste e questo per la particolare tendenza che ha l’adipocita a mantenere costante il proprio volume. Infatti se stimoliamo la liposintesi intradipocitaria avremo un aumento dei grassi contenuti nella cellula fino ad un massimo oltre il quale non è possibile salire perché scompaiono sulla cellula adiposa i recettori per l’insulina, strutture presenti sulla parete cellulare che permettono l’ingresso del glicerolo necessario alla sintesi dei trigliceridi (grassi): la cellula potrà, ora, solo diminuire di volume ma non accrescersi ulteriormente. Stessa cosa avviene nel processo inverso, cioè nell’eccessiva riduzione dei grassi intracellulari. Ne consegue che qualunque nostra azione per variare la volumetria dell’ adipocita sarà annullata al variare delle condizioni ambientali dello stesso. E cioè l’azione lipolitica porterà a diminuzione dell’adiposità ipertrofica o mista fino al volume normale dell’ adipocita, riduzioni ulteriori avranno solo un risultato transitorio e scompariranno alla sospensione dell’azione lipolitica.

I trattamenti lipolitici prevedono l’attivazione del metabolismo del tessuto adiposo. Essi sono :

– La Mesoterapia Allopatica
– La Mesoterapia Omotossicologica
– L’Elettrolopolisi
– La Carbossiterapia

Questi trattamenti risolvono un’adiposità localizzata ipertrofica e migliorano un’adiposità localizzata iperplastica preparandola ad un miglior risultato con eventuali trattamenti lipoclasici.

Interventi Lipoclasici
Quando il trattamento lipolitico e’ inutile o insufficiente. E’ necessario effettuare un trattamento con mezzi lipoclasici.

I trattamenti lipoclasici sono sia medici che chirurgici e sono attualmente rappresentati da:

– la liposuzione
– l’ idrolipoclasia ultrasuonica
– l’ossigeno-ozonoterapia

I mezzi lipoclasici determinano un danno tessutale che porta a diminuzione del volume in eccesso. Il mezzo più rapido, anche se ovviamente il più traumatico, per eliminare il tessuto adiposo è dato dalla liposuzione.
Questa e’ un intervento chirurgico basato sull’aspirazione del grasso frantumato da una cannula a punta smussa.
Il vantaggio della liposuzione rispetto ai mezzi medici e’ dato dalla rapidità con la quale si ottiene il risultato, ma la metodica richiede una esperienza, un ambiente ed un’assistenza chirurgica. L’alternativa medica alla liposuzione è oggi l’ idrolipoclasia ultrasuonica. Questa metodica prevede l’infiltrazione dell’adiposità localizzata con soluzioni al fine di aumentare notevolmente e in modo parcellare la massa liquida del tessuto. Successivamente si applicano gli ultrasuoni a 3 MHz e a 6 Watt/cmq che determinano danno da cavitazione (continua formazione ed esplosione di microbolle di vapore).
Va ricordato che questa terapia, come tutti gli interventi lipoclasici, non determina solo la distruzione degli adipociti ma di tutto il materiale biologico interessato al trattamento.
L’ossigeno-ozonoterapia, che però presenta numerose perplessità, prevede l’introduzione di questa miscela gassosa nel tessuto in eccesso. I radicali liberi dell’ossigeno che si formano per decomposizione di questa miscela determinano una lipoperossidazione delle membrane biologiche con danno e frammentazione delle stesse.
Anche in questo caso va ricordato che l’azione lesiva dei radicali liberi non agisce solo sugli adipociti ma su tutte le membrane cellulari con danno di ogni tipo di cellula.

Riassumendo
Da quanto esposto risulta che il trattamento dell’adiposità localizzata deve essere affrontato con le seguenti tappe:

a) normalizzazione dell’eventuale eccesso adiposo generale con dieta (Cronodieta) e attività fisica;

b) attivazione della lipolisi con mesoterapia , con elettrolipolisi o con la carbossiterapia.

c) trattamento lipoclasico con ILCUS, liposuzione o infiltrazione di ossigeno-ozono per diminuire definitivamente le volumetrie in eccesso. Ai trattamenti clasici è utile far seguire

PANNICULOPATIA EDEMATO-FIBRO-SCLEROTICA
In questa situazione clinica rileveremo le alterazioni clinico-strumentali caratteristiche di questa microangiopatia.

Trattamento
Il trattamento terapeutico sarà modulato in funzione dei risultati strumentali:
– se all’esame doppler del circolo venoso si riscontrano alterazioni della funzionalità valvolare responsabili dell’insufficiente ritorno venoso, si imposterà prima di ogni altro intervento un programma di correzione chirurgica. Sarebbero, infatti, inutili i trattamenti medici e fisioterapici in presenza di una ipertensione venosa da danno anatomico;
– in caso di esame doppler negativo il trattamento terapeutico sarà impostato sulla base dei risultati ecografici (Ecografia del Tessuto Adiposo), ricordando che il danno strutturale potra’ essere corretto terapeuticamente nella fase edematosa e nello stadio iniziale della risposta fibrotica: nulla potrà essere variato quando la risposta connettivale avrà raggiunto la fase sclerotica o scleronodulare.
Il trattamento terapeutico si avvarrà di interventi farmacologici abbinati ad interventi fisioterapici. Per via mesoterapica (Mesoterapia) si utilizzano farmaci flebotropi ed antiedemigeni nel primo stadio e farmaci fibrinoliti nel secondo stadio.
E’, in questo caso, quasi obbligatoria la somministrazione locale e questo perché i farmaci somministrati per via sistemica prevedono la veicolizzazione nei punti d’azione attraverso la via ematica, in caso di PEFS esiste un rallentamento circolatorio nei punti da trattare e, conseguentemente il farmaco può raggiungere con difficoltà la zona dove e’ richiesto.
Di aiuto al trattamento farmacologico sono le metodiche fisioterapiche che migliorano la progressione del sistema linfatico riducendo l’edema tessutale (Drenaggio Linfatico).
La carbossiterapia permette vasodilatazione e liberazione dei dispositivi di blocco che regolano il flusso del microcircolo e riduzione dell’ affinità dell’ emoglobina per l’ ossigeno e conseguente aumentato rilascio dello stesso, per questo riconosce un’utilità nel trattamento delle prime fasi della PEFS.
Anche l’elettrolipolisi riconosce, negli ultimi studi, la possibilità di essere utilmente utilizzata per ridurre l’edema nella PEFS. Il meccanismo di azione è ancora oggetto di verifica anche se i risultati strumentali positivi portano ad inserirla nel protocollo di trattamento della PEFS.
E’ da ricordare, infine, che le terapie descritte daranno risultati transitori od inutili se non accompagnate da una rieducazione delle scorrette norme comportamentali e di igiene di vita alla base dell’alterazione della circolazione venolinfatica degli arti inferiori.
In particolare si dovrà agire sui fattori predisponenti e sui fattori scatenanti curando l’alimentazione, l’assunzione di farmaci, gli stimoli stressogeni, la regolarità dell’alvo, il tipo di calzature e di abbigliamento, l’ambiente e il tipo di lavoro e, soprattutto, l’attività motoria degli arti inferiori.

Da quanto esposto l’operatività pratica nel trattamento della PEFS prevede:

a) eliminazione delle cause scatenanti e, per quanto possibile, delle predisponenti l’insufficienza venolinfatica degli arti inferiori
b) attivazione del circolo linfatico con DL manuale o meccanico
c) trattamento farmacologico locale ad azione flebotrofica, antiedemigena e fibrnolitica
d) miglioramento degli scambi microcircolatori con carbossiterapia
e) possibile uso dell’elettrolipolisi come azione antiedemigena

La cellulite: metodiche di trattamento
LE METODICHE DI TRATTAMENTO

elettrostimolazione
carbossiterapia
drenaggio linfatico
idrolipoclasia ultrasonica
ettrolipolisi
liposuzione
mesoterapia
ossigeno-ozonoterapia

La cellulite: classificazione della cellulite
L’inestetismo su esposto può essere attribuito a quattro diverse condizioni:

1) ACCENTUAZIONE DEL NORMALE HABITUS GINOIDE
Questa condizione, ereditaria e supportata da una particolare struttura ossea del bacino, non esprime uno stato patologico ma determina soltanto una disarmonia della figura non accettata dai canoni estetici della moda di oggi.
Si ha un divario più o meno importante tra il diametro bitrocanterico e quello biomerale. L’eccesso volumetrico della faccia supero-esterna della coscia è sostenuta dal grande trocantere del femore: è quindi impossibile ridurre questo inestetismo localmente.

2) IPOTONIA MUSCOLARE
In questo caso la diminuzione del volume muscolare dovuto ad una non corretta stimolazione determina caduta del gluteo sulla parte posteriore della coscia con fuoriuscita laterale di un eccesso volumetrico di tessuto a livello della faccia supero-esterna della coscia.

3) ECCESSO DI ADIPOSITA’ LOCALIZZATA
Alcune volumetrie del tessuto adiposo condizionate dall’azione degli ormoni estrogeni, entro certi limiti, debbono essere considerate come una presenza normale. Infatti, esse svolgono un ruolo estetico nel corpo femminile mascherando le salienze ossee e le sporgenze muscolari. Un trattamento delle adiposità’ localizzate e’ richiesto solo in caso di notevole eccedenza.
Le zone di adiposità localizzata nel distretto inferiore del corpo femminile sono individuabili a livello dei glutei, dell’addome, dei fianchi, della faccia supero esterna della coscia e al ginocchio, medialmente. In tali distretti, il tessuto adiposo tende a consolidarsi perché, mentre è regolare l’azione di liposintesi non lo è quella di lipolisi, inibita localmente dall’attività estrogenica. Stimoli alla lipolisi effettuati con trattamenti generalizzati (una dieta ipocalorica) porteranno a perdita di grasso dai distretti a metabolismo normale, accentuando ulteriormente la disarmonia locale.
Si osserverà la perdita di tessuto adiposo a livello del seno, del viso mentre le zone di adiposità localizzata resteranno quasi intatte. Una perdita di tessuto può riguardare anche gli organi interni: se si realizza a carico della capsula adiposa renale si può verificare ptosi renale e inginocchiamento dell’uretere.
L’adiposità localizzata in eccesso può essere costituita da numerose cellule di dimensioni normali (iperplasia), da un numero normale di cellule di grandi dimensioni (ipertrofia), da un misto delle due situazioni. Il trattamento lipolitico potrà dare risultati soprattutto sulle adiposità localizzate che, dal punto di vista istomorfologico, presentano una situazione ipertrofica: è utile anche nel trattamento iniziale delle forme miste e questo per la particolare tendenza che ha l’ adipocita a mantenere costante il proprio volume. Se stimoliamo la liposintesi intradipocitaria avremo un aumento del volume del vacuolo adiposo intracellulare fino ad un massimo. Oltre tale valore non è possibile che si verifichi un ulteriore aumento volumetrico dell’ adipocita perché scompaiono sulla cellula i recettori per l’insulina. Dalla interazione dell’insulina con tali recettori si realizzano diversi effetti biologici quali quelli a carico del metabolismo lipidico. L’insulina esplica un effetto inibitorio, all’interno dell’ adipocita, sulla lipasi che catalizza l’idrolisi dei trigliceridi. Inoltre, gran parte della captazione del glucosio mediata dall’insulina a livello adipocitario viene utilizzata per la formazione di alfa-glicerofosfato che è indispensabile per l’esterificazione degli acidi grassi che potranno, così, essere utilizzati per la biosintesi dei trigliceridi.
Una volta scomparsi i recettori per l’insulina, la cellula non potrà accrescersi ulteriormente ma potrà solo diminuire di volume. Nel processo inverso la riduzione del vacuolo intracellulare adipocitario non potrà scendere sotto certe dimensioni minime. Ne consegue che qualunque nostra azione per variare la volumetria dell’ adipocita sarà limitata. L’azione lipolitica porterà ad una diminuzione dell’adiposità ipertrofica o mista fino al raggiungimento da parte dell’ adipocita del volume minimo possibile. Riduzioni ulteriori avranno solo un risultato transitorio e scompariranno alla sospensione dell’azione lipolitica indotta dal nostro intervento terapeutico distrettuale.
La corretta diagnosi citomorfometrica dell’adiposità localizzata rappresenta un elemento essenziale per programmare un approccio terapeutico adeguato. Tale tipo di diagnosi si può effettuare solo con un esame istologico. Purtroppo il prelievo bioptico è un’indagine particolarmente traumatica e poco accettata dal paziente. Sommariamente, tale pratica diagnostica può essere sostituita dalla valutazione anamnestica dell’epoca d’insorgenza dell’adiposità e dal tasso insulinemico (meglio se valutato dopo carico glucidico).
La comparsa dell’eccesso volumetrico nel periodo prepuberale, quando le cellule grasse tendono a moltiplicarsi, depone per un adiposità di tipo iperplasico e un tasso insulinemico alto indica la scomparsa dei recettori per quest’ormone sull’ adipocita, situazione che si verifica quando la cellula ha raggiunto le sue massime dimensioni possibili (adiposità ipertrofica ). Si realizza quanto è di frequente riscontro nell’obesità, la cosiddetta down regulation o internalizzazione recettoriale. Si tratta di un processo di endocitosi. Il numero dei recettori si riduce perciò l’insulina rimane inattiva nel circolo.
L’ insulinoresistenza non è dovuta solo alla down regulation ma anche ad una diminuita sensibilità delle subunità alfa dei recettori per l’insulina e ad una difettosa trasduzione del segnale da parte delle proteine omologhe della parete cellulare deputate all’attivazione dell’ adenilciclasi, ad una difettosa trasduzione del segnale a livello post-recettoriale,alla comparsa di autoanticorpi (anticorpi anti-recettore, anticorpi anti-insulina ).

4) PANNICULOPATIA EDEMATO-FIBRO-SCLEROTICA
Un’affezione degenerativa a carattere evolutivo del tessuto sottocutaneo dovuta ad alterazioni del microcircolo.
Si sviluppa su un substrato costituzionale legato a tutta una serie di fattori predisponenti e scatenanti.

 

Un ringraziamento speciale
all’ autore e redattore dell’ articolo: Enrico De Stefani