Che cosa succede ad un muscolo sottoposto ad un lungo periodo riabilitativo successivo ad un evento lesivo ?
E più specificatamente cosa accade al quadricipite femorale di un calciatore in conseguenza alla fase fisioterapica che segue un intervento riscostruttivo di legamento crociato anteriore o dopo meniscectomia?
Possiamo rispondere a questa domanda, invero credo molto importante per le conseguenze metodologiche nell’ambito dell’allenamento, grazie a due ricerche che abbiamo recentemente condotto appunto in quest’ambito (Bisciotti e coll., 2001, Bisciotti e coll., 2001).
Occorre innanzi tutto fare una premessa molto importante: i piani di lavoro fisioterapici, per quanto indispensabili al fine di ristabilire la piena efficienza muscolare, costituiscono, per il muscolo, un vero e proprio “bombardamento di impulsi a bassa frequenza” decisamente molto indirizzato al lavoro delle fibre lente (fibre di tipo I) ed altrettanto decisamente poco specifico all’interessamento delle fibre veloci (fibre di tipo II) e come vedremo in seguito, questo comporta una possibile componente di rischio per la muscolatura di un calciatore che suo malgrado debba sottoporsi ad un piano riabilitativo piuttosto protratto nel tempo. Ma torniamo ai parametri muscolari che maggiormente subiscono un cambiamento dopo un evento lesivo, come abbiamo detto a livello dell’articolazione del ginocchio, e dopo il conseguente periodo fisioterapico che ad esso consegue.
In primo luogo la muscolatura della coscia in toto (ossia i flessori e gli estensori) perdono in quanto a capacità di forza massimale, anche se per la precisione occorre puntualizzare che la perdita di forza a carico dei flessori ( bicipite femorale) è molto limitata (circa 8%), in confronto allo scadimento delle capacità di forza massimale degli estensori (quadricipite femorale), che possono ancora essere nell’arto leso, al 90° giorno post-operatorio nel caso di un legamento crociato anteriore, ancora minori di un 30-35% nei confronti delle capacità di forza dell’arto sano.
Ma il fatto, almeno a prima vista paradossale, è che nell’arto leso, a fronte di una più che logica perdita delle capacità di forza massimale, si registra, appunto paradossalmente un aumento delle capacità di resistenza muscolare. Facciamo un esempio pratico per meglio comprendere il significato di questa affermazione, invero un po’ strana. Prendiamo l’esempio di un atleta infortunato i cui valori di forza massimale isometrica a carico del quadricipite femorale, a circa novanta giorni dall’intervento operatorio, siano di 80 kg nell’arto sano e 54 kg nell’arto leso. Il deficit di forza a carico dell’arto leso sarà del 30% e sino a questo punto non ravvisiamo ovviamente niente di strano, la differenza registrata rientra infatti nel range medio riscontrabile in questo tipo di casistica. Se a questo punto chiediamo allo stesso atleta di mantenere una contrazione isometrica pari al 50% delle capacità di forza massimale, sia nell’arto leso, che nell’arto sano (ossia 40 kg per l’arto sano e 28 kg per la gamba lesa) sino ad esaurimento muscolare completo, ci accorgeremmo, direi con sorpresa, che la gamba lesa riesce a mantenere lo sforzo per un tempo maggiore di circa il 22%, in altre parole il quadricipite dell’arto leso è, a parità d’intensità percentuale di sforzo, più resistente di quanto non sia il quadricipite dell’arto sano. Come mai la muscolatura dell’arto leso diviene meno forte, come logicamente ci si può attendere, ma nel contempo più resistente, rispetto all’arto sano? La responsabilità, se di responsabilità si può parlare, è del programma fisioterapico, o meglio ancora della sua lunghezza. Come abbiamo già detto inizialmente, a giusta ragione un programma riabilitativo prevede tutta una serie di esercitazioni il cui denominatore comune è costituito da stimoli a bassa frequenza, che interessano principalmente la fibra di tipo I ed in un certo qual modo “mortificano” le caratteristiche della fibra di tipo II. Vale la pena ricordare che la caratteristica peculiare della fibra di tipo I è la scarsa velocità di contrazione ma la grande resistenza alla fatica, mentre le caratteristiche della fibra di tipo II sono diametralmente opposte: grande velocità di contrazione ma scarsa resistenza.
Un programma riabilitativo protratto per un periodo di tempo prolungato porta quindi ad un doppio inconveniente costituito, sia da un’atrofia selettiva delle fibre di tipo II, che da una conversione della tipologia delle fibre da tipo II a tipo I. Svelato l’arcano, possiamo facilmente comprendere come questo processo di atrofia selettiva e conversione tipologica delle fibre, costituisca, in un’attività come il calcio, un vero e proprio pericolo potenziale. Nel calcio infatti, come d’altronde anche in molti altri sport di squadra, come il basket, il rugby o la pallamano, all’atleta vengono richiesti sforzi di tipo esplosivo come balzi, accelerazioni o repentini cambi di direzione, in cui è necessario un rapidissimo reclutamento di fibre di tipo II. E’ quindi ovvio pensare che un massiccio cambiamento della tipologia delle fibre muscolari del quadricipite dell’arto leso, possa costituire un forte elemento “destabilizzante” nella meccanica del gesto.
Allora che fare?
Questo indice di maggior resistenza (22% circa) dell’arto leso rispetto al controlaterale sano, che abbiamo appunto desunto da una ricerca specifica da noi effettuata su calciatori infortunati, dovrebbe essere, a nostro parere, assunto come valore limite oltre il quale si può ragionevolmente supporre che il cambiamento della tipologia delle fibre muscolari stia divenendo eccessivo. A questo punto diviene estremamente necessario, per quanto possibile, inserire nel programma di lavoro delle esercitazioni specifiche di connotazione dinamica che riescano a sollecitare selettivamente le fibre di tipo II, per cercare di riequilibrare la tipologia muscolare dei due arti.
Come calcolare la resistenza muscolare della muscolatura estensoria dei due arti?
Vi proponiamo due metodi: il primo più “scientifico” ed il secondo, se vogliamo “un po’ più empirico” ma egualmente valido.
1° metodo: Calcolate attraverso l’Ergometer (Globus Italia, Codognè, Traviso) la forza massimale isometrica dei due arti separatamente. Selezionate il programma specifico denominato fatigue test, e chiedete all’atleta di mantenere, durante una contrazione isometrica, il 50% della forza massimale precedentemente calcolata per i due arti separatamente. Se con l’arto leso il vostro atleta riesce a mantenere la contrazione richiesta per un tempo superiore del 22% rispetto all’arto sano, è il momento di rivedere il programma riabilitativo.
2° metodo: Calcolate attraverso il metodo classico illustrato nel riquadro, la forza massimale del quadricipite del vostro atleta, sia per l’arto sano, che per l’arto leso. Chiedetegli poi di effettuare con il 50% del carico massimale una serie di ripetizioni ad esaurimento muscolare completo, sia per l’arto sano, che per l’arto leso. Se il numero di ripetizioni effettuate con l’arto leso, supera del 22% quelle effettuate con l’arto sano, il programma di lavoro dovrebbe essere senz’altro rivisto.Tabella 1 : valore percentuale di forza massimale in funzione del numero massimo di ripetizioni effettuate
Come calcolare “empiricamente” la forza massimale
Stabilite un carico e richiedete all’atleta di effettuare il massimo numero di ripetizioni possibili. Per ottenere un risultato preciso, cercate di individuare un carico con il quale l’atleta non riesca a effettuare più di 5-6 ripetizioni, eventualmente effettuate più prove, intervallate da un adeguato recupero (2’-3’). Se ad esempio il vostro soggetto è riuscito ad eseguire 5 ripetizioni con 60 kg, per calcolare la sua forza massimale, impostate la seguente proporzione:
60 : 85 = x : 100
Ossia 60 kg costituiscono l’85% delle capacità di forza del soggetto (i valori li desumete dalla tabella 1) come X, che costituisce il carico che rappresenta la vostra forza massimale, sta a 100 (ossia il 100% delle capacità di forza)
Nell’esempio specifico che abbiamo riportato il valore di forza massimale sarà:
60 * 100 / 85 = 70.5 kg.
Per chi volesse saperne di più…
Bisciotti GN., Bertocco R., Ribolla PP. Electromyographic analysis in the anterior cruciate ligament reconstruction: a new method for control and prevention.Medicina dello Sport. In Press
Bisciotti GN., Combi F., Forloni F., Petrone N. Stamina increase and change of muscular fibers typology in the reconstruction of anterior cruciate ligament. Journal of traumatology..Submitted.
Snyder-Mackler L., Ladin Z., Schepsis AA., Young JC. Electrical stimulation of the thigh muscle after reconstruction of the anterior cruciate ligament. J Bone joint Surg. 1991 ;73A : 1025-1036.
Gian Nicola Bisciotti
Dr. in scienze motorie